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BRUNO PETRETTO – MOSTRA PERSONALE AL “GHETTO” DI CAGLIARI A CURA DI MARIOLINA COSSEDDU

Ai Confini dell’Impero / 102

Si è inaugurata a Cagliari, nella sede del Centro Culturale Comunale il Ghetto, la mostra personale di Bruno Petretto.

L’ambiente che la ospita è uno degli spazi dedicati più belli ed idonei allo svolgimento di manifestazioni d’arte che mi sia capitato di vedere nella mia ultra cinquantennale carriera di pittore girovago, con inoltre una terrazza che si affaccia dall’alto su una vista panoramica mozzafiato della città di Cagliari e del suo mare. Il valore aggiunto a tutto ciò è dato dalla superba capacità di gestione dello spazio delle cooperative Agorà Sardegna e Coopculture, guidate da una giovane e brillante Silvia Murruzzu, grande tessitrice di occasioni culturali e relazionali, affiancata da uno staff che annovera al proprio interno storici dell’arte, esperti grafici multimediali, mano d’opera specializzata nella risoluzione di tutti i problemi legati all’allestimento.

Questa breve premessa sul luogo dell’evento, veramente incantevole e da visitare, al testo critico della mostra dello storico dell’arte Mariolina Cosseddu che volentieri ospitiamo nella nostra rivista. (RP)

 

NEL GREMBO DELLA TERRA

di  Mariolina Cosseddu

Il miglior ritratto di Bruno Petretto è affidato a tre minuti di immagini che raccontano di una figura vista di spalle mentre si inoltra nella boscaglia alla ricerca di qualcosa che ben presto appare sotto forma di un grande albero: qui, sul possente tronco, è aperta una profonda cavità naturale frutto del lavorio del tempo e verso cui si avvia sempre più concitata la svelta sagoma che inaspettatamente si immerge in quell’anfratto e si fonde nel cuore dell’arbusto. La simbiosi è perfetta, l’intimità ricongiunta: la fusione celebra l’ancestrale legame tra uomo e natura, l’osmosi tra due esseri viventi che si intendono da sempre e hanno trovato l’occasione per confermarlo. In realtà  l’incontro rivela il rito atavico di una sacralità originaria, di un connubio viscerale che solo gli spiriti  eletti sanno riconoscere.  Così è Bruno Petretto che della natura ha fatto tempio ideale del suo vivere e delle ragioni stesse della sua arte. 

Lo ha inteso bene Antonello Fresu, che di Bruno è amico e  conosce le pieghe segrete del suo essere, mettendo in luce, in quella sequenza di immagini, colte fortuitamente sotto un cielo di sole, gli intendimenti più veri di un  autentico abitante della terra.

Nella terra Bruno Petretto trova gli elementi che compongono le sue opere, consapevole che tutto lì nasce  e lì ritorna, in un ciclo continuo di inizio e fine di ogni cosa, dal mondo animale a quello vegetale sino al minerale. Lo dimostra esplicitamente nella grande composizione sul pavimento dove si inseguono, nel ritmo dettato dalle forme circolari dei fiscoli ( recipienti filtranti per le olive prima della torchiatura),  i dischi di fibre intrecciate che contengono al centro i simboli concreti della condizione naturale: il grano appena germogliato, le uova in un letto di paglia, i frammenti aguzzi di pietre sedimentarie  che si offrono allo sguardo e richiedono attenzione vigile e premura rinnovata. Il messaggio deve arrivare diretto e senza fraintendimenti: nell’etica della natura ogni cosa chiede rispetto e amorevole cura, ogni dono della terra diventa prezioso e dispensa piacere.

  

 E tutto può avere vita nuova. Come i vecchi fiscoli dismessi che l’artista trasforma in fioriere o vassoi, nidi o grembi accoglienti, simboliche  forme di essenziale bellezza. “Nascita e Rinascita” evoca così il mito dell’eterno ritorno che rende sacre le attività umane legate alla Natura e assicura  l’andamento perenne e rigenerante della collettività. 

E’ questa la religione di una esistenza dedicata alla fatica della campagna che necessita  operosità e  approcci complici, generosità di propositi, condivisione di sentimenti. La realtà di Molineddu (Parco delle arti del comune di Ossi, ideata quasi trenta anni fa da Bruno Petretto ) oggi ha questo valore. E altrettanta invincibile forza. Per questo la sua terra ospita le opere di altri artisti nella ferma convinzione che l’arte decori la natura e la natura gioisca nell’incontro con l’arte. 

Questo dice il suo vasto progetto della “Biblioteca della Natura”, una serie di opere concepite in forme diverse e di cui i  “Libri d’artista” sono parti fondamentali. Sostenuti da tronchi d’albero come brevi colonne, i Libri si danno come pagine lignee dove frammenti di cortecce o di pelli, di lana grezza o di muschi e licheni compongono i testi che evocano storie e vicende dell’universo organico. Il suo sguardo vede le trame e le ferite impresse in quei frammenti, i dolori, la forza o le cicatrici delle tessere dell’immenso mosaico del mondo.  Semplici e quasi scabri mostrano la tattilità di materie vegetali o animali, l’incanto di colori e odori di un mondo naturalistico troppo spesso trascurato. Bruno Petretto invita a riprendere familiarità con quell’universo, ad accostarsi alla condizione non umana con la stessa fiducia che va riposta nel consorzio sociale, a sentire la vita che scorre in quelle fibre, in quegli inserti che illustrano il prodigioso libro della Natura. 

 

In grado di percepire la vita che si nasconde negli accadimenti naturali, Bruno Petretto è in dialogo costante con  ogni forma organica di cui sa intravvedere, con visione lungimirante, la metamorfosi che le sue mani sapranno imprimere a inermi lacerti ormai inutilizzati come pelli di animale rinsecchite dal sole. Quei pellami resistenti si trasformano in superfici cangianti attraversate da marezzature e profondità, emergenze materiche e solchi d’ ombra che evocano le tele spettacolari di William Turner : di fatto    un omaggio sentito al grande artista inglese, alla sua pittura portata ai confini dell’astrazione e qui resa illusivamente in spazi di seduzione manifesta. Trattata come fogli di pergamena, resa sottile e quasi trasparente, la pelle perde la sua origine primitiva e si lascia cogliere come preziosa tessitura di un sublime pittorico matericamente reinventato.  

 

 

D’altronde con la grande tradizione pittorica Bruno Petretto sembra misurarsi spesso, conscio che ognuno di noi contrae debiti nei confronti di maestri ideali. Così gli basta guardare i massi di una cava sul monte Limbara per riconoscere, in quei volumi, le forme geometricamente libere di Kasimir Malevich.  Non ha dubbi Petretto, se su quelle superfici si inserisce il colore puro e saturo, l’evocazione dei dipinti del grande ucraino diventa palese. Il gioco di rimandi non è solo  pretesto per celebrare la purezza assoluta di Malevich ma semmai per rivolgere lo sguardo alla realtà naturale con occhi incantati e pieni della meraviglia che lo scambio tra arte e natura può assicurare. Come nei lavori in mostra, frutto della sapiente elaborazione digitale di Roberto Puzzu e delle luminose  fotografie di Vincenzo Fara (in attesa di un concreto intervento ambientale sospeso durante la pandemia).

 Si fa sempre più chiara allora la concezione del lavoro artistico che Bruno Petretto ha ideato negli anni, paziente, caparbio e deciso a costruire una propria poetica che intercetta quella di artisti come Pistoletto e Anselmo, Gilardi e Penone (per citare i più noti), prima ancora che i temi legati all’ambiente diventassero motivo di teorie, interventi e polemiche come si assiste in questi ultimi tempi.  Lontano dalle mode e da qualsiasi artificio formale non autenticamente sentito,  Bruno Petretto vive in dipendenza razionale ed emotiva dal corso della Natura su cui regola la vita e l’arte stessa. 

Completano la mostra gli ultimi lavori, tutti inediti, con cui Bruno Petretto indaga una dimensione a lui cara: la musicalità della natura trasferita su simboliche strutture lignee concepite come pentagrammi materici di spiazzante concretezza. Emerge ancora qui l’attitudine alchemica del suo fare, la capacità di trasformazione dell’insignificante (agli occhi ovviamente di chi non sa vedere) in costruzione poetica, in opere che cantano inni discreti e silenziosi. E che seguono i ritmi della natura secondo un andamento proprio, che nulla ha che vedere con la musica degli uomini. Appronta dunque sostegni di legno su cui dispone sottili file di catenelle o di filo spinato a reggere le delicate note di foglie o pelli, piume o pietre in un ordine da cui si genera equilibrio e armonia. Così l’artista veggente in grado di sentire i suoni e le voci che giungono dalla molteplicità dei fenomeni naturali sa che ogni cosa mantiene viva la memoria del proprio vissuto, l’energia della sua identità, la bellezza delle forme modellate dal vento. 

E perciò non è insolito, per chi va a trovarlo a Molineddu, sentirlo parlare con gli alberi e gli animali, chiamarli per nome, sorridere delle loro risposte. Ma non c’è bisogno di pensarlo, badate bene, con un’aura primitivista: Bruno Petretto è uomo del proprio tempo, fin troppo consapevole delle richieste dell’ambiente martoriato dall’uomo. La sua opera vuole essere un discreto, sereno ma irremovibile monito a farsene carico. Noi tutti. Con discrezione. E pacatezza. 

                                                                                                                   

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