Il futuro, tra etica della possibilità e etica della probabilità
di Raniero Regni
L’educazione ha sempre a che fare con il futuro. Intanto perché si rivolge ai bambini e ai giovani che sono il futuro e poi perché non c’è educazione senza promessa. Educare è promettere e, come scriveva Gentile, quando si parla di educazione si parla sempre di avvenire.
Come dice l’adagio, se c’è una cosa che non si può prevedere è proprio il futuro. Eppure esso appare come un fatto culturale. Ogni società prefigura il tempo che verrà in base alle sue speranze e alle sue aspettative come un viaggio, una navigazione, che cerca di perseguire l’ideale di una vita buona, evitando gli scogli del rischio e del fallimento. Ma, come osserva il grande antropologo di origine indiana e docente alla New York University, Arjun Appadurai, l’antropologia, ma anche la cultura umanistica, è stata sempre più attenta al passato che al futuro. È sempre stata più capace di studiare la persistenza dei costumi, l’impatto del nuovo sul vecchio, la permanenza della memoria culturale, dell’astuzia della tradizione, piuttosto che la capacità di anticipazione che pure l’essere umano possiede. Gli umani sono costruttori di futuro, ma oggi di questa facoltà sembra occuparsi prevalentemente la scienza economica. A questa si sono affiancate oggi anche le scienze che studiano l’ambiente, per non parlare poi delle tecnologie che questo futuro lo producono.
Ma che cos’è il futuro sul piano culturale? È l’insieme complesso di aspirazioni, previsioni e immaginazioni. Queste rappresentano tre dimensioni molto diverse tra loro. Il potere dell’immaginazione è indispensabile, è un potere di prefigurazione senza il quale si subisce il cambiamento, è una forma di energia quotidiana. L’aspirazione è lo spazio della speranza, è il bisogno di conciliare le rivendicazioni della dignità e della soddisfazione dei bisogni materiali. La capacità di aspirare dipende dall’idea di buona vita condivisa, ovvero ciò che la gente cerca di raggiungere. Nei confronti del futuro si esprimono sempre emozioni e sensazioni di adeguatezza o inadeguatezza, di paura o di speranza., di vertigine e di soggezione. “La speranza – scrive Appadurai – è l’equivalente politico del lavoro dell’immaginazione, perché è soltanto tramite una qualche sorta di politica della speranza che una qualunque società o gruppo può raffigurarsi il tragitto verso un auspicabile cambiamento dello stato di cose”.
Poi c’è la previsione. Questa cerca di prevedere gli scenari futuri e si articola attraverso le categorie del pericolo, del rischio e dell’incertezza. Si può affrontare con l’etica della possibilità e con l’etica della probabilità. La prima esprime un modo di pensare, sentire e agire che ampliano gli orizzonti della speranza, espandono il campo dell’immaginazione, generano una maggiore equità nella capacità di sperare e allargano gli spazi di una cittadinanza informata, creativa, critica. L’etica della probabilità è propria invece del capitalismo speculativo, del neoliberismo dell’azzardo che gioca con l’incertezza e persino con la probabilità delle catastrofi, alimentando una forma amorale di speculazione. Una forma di capitalismo che cerca di sfruttare le emergenze per fare affari.
È innegabile che, soprattutto per i bambini e per i giovani che pure sono il futuro, proprio quest’ultimo è oggi andato cambiando di segno. Ieri, con la fede nel progresso, il futuro era una promessa, il significato del presente stava nel futuro, oggi l’insignificanza del presente sta nel futuro come minaccia, per cui anche l’evitare l’infelicità sembra impossibile.
Non c’è educazione senza futuro. Allora bisogna alimentare la speranza e l’immaginazione. È necessario affrontare il rischio e l’incertezza attraverso l’etica della possibilità, capace di impegnarsi per il miglioramento della qualità della vita sul pianeta. Educare è dischiudere delle potenzialità, è aprire delle possibilità. Occorre coniugare un’etica della possibilità, per le giovani generazioni, capaci di produrre futuro, con l’etica della responsabilità degli adulti. Responsabilità nei confronti del futuro, non il loro, ma quello degli altri.
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