
Editoriale / 98
DIAMO UNA MANO AL CERVELLO
di Pierluigi Palmieri
“Ho le mani legate” è un modo figurato di dire che tutti usiamo quando siamo impossibilitati ad intervenire in situazioni più o meno difficili. Le mani fisicamente legate al timone della morte ce le aveva uno dei “passeggeri” del natante naufragato a poche centinaia di metri dalla spiaggia calabrese di Cutro il 26 febbraio scorso. Chi era e perché si trovasse in quella. condizione sarà forse scoperto dagli investigatori appena le condizioni della donna che ha rivelato il fatto permetteranno un interrogatorio più approfondito. Il Corriere della Sera di ieri 11 marzo nel dare notizia del recupero di altri due corpi di naufraghi nelle acque di Steccato ipotizza che l’uomo fosse uno scafista, fattosi legare per confondersi tra i migranti , ma non esclude che fosse invece un profugo legato dagli scafisti per consentire la navigazione ancora per un po’ fatto che avrebbe avrebbe permesso a loro di raggiungere la riva a nuoto. Certo loro si che hanno raggiunto la riva e uno addirittura è arrivato fino a Salisburgo prima di essere catturato. I delinquenti “scafati” hanno fatto bene i loro conti: dopo aver incassato centinaia di migliaia di euro dai disperati di ogni provenienza, li hanno mandati a frantumarsi
con il loro barcone della morte, uno dei tanti che si muovono con motori improbabili e strumentazioni di bordo approssimative, dal nome beffardo di “Summer Love”. In tanti nel salire sul natante sgangherato hanno sognato un estate piena d’amore in questa nostra Europa senza sapere che dietro quel nome tristemente accattivante si nascondevano le sembianze di una chimera che avrebbe sputato l’impietosa acqua gelida mortale. Swar Zrebi, 23 anni poco prima del naufragio del 26 febbraio scorso, aveva telefonato al marito in Germania, dicendogli «amore mio, vedo la costa. Tra poco saremo insieme. Aspettami»: due giorni fa è partita dentro una bara su una nave per “rientrare” in Tunisia. I corpi di una donna di circa trent’anni e quello di una bambina di tre sono stati restituiti, a poca distanza tra loro, dal mare che li aveva inghiottiti ormai due settimane fa: è triste pensare che probabilmente fossero mamma e figlia e che siano rimaste avvinghiate tra loro fino a quando il logorio delle acque marine non le ha staccate. Anche per loro non ci sarà l’agognata “estate d’amore”, La tristezza diventa rabbia pensando che al livello del sadismo degli scafisti che non hanno avuto, come tanti loro “colleghi”, alcuna remora nel far salire a bordo di quel trabiccolo circa duecento persone tra cui bambini in tenera età e perfino neonati. Mi brucia il cervello a pensare come a questi banditi avidi e disumani non tremino le mani nell’estorcere ingenti somme da chi cerca la libertà, senza pensare di mettere a disposizione almeno un giubotto di salvataggio che è reperibile su internet anche a 19 euro!. Pensare che con soli diciannove euro, e se fossero 50 non cambierebbe nulla, una persona che ne ha sborsati 5.000, si sarebbe potuta salvare è deprimente.
Perché tanto sadismo e tanta indifferenza per l’umano? La risposta più logica è che questa categoria di esseri viventi non considera alcuna legge e non possiede alcuna morale. Per loro torna di attualità il sintetico Homo homini lupus, che da Plauto a Hobbs ha animato per secoli il dibattito sulla natura dell’uomo, ma ha avuto altrettanto da sempre come contraltare dialettico Homo homini deus est, si suum officium sciat . Eh si, l’uomo è un dio per l’uomo, se conosce il proprio dovere. Ma non bastano detti e aforismi per affrontare questo enorme problema. Intanto mezzi aerei, navali, sommozzatori e droni continuano a cercare i corpi delle vittime di Cutro, mentre altri banditi ne riversano in mare o traslocano sulle vedette della Guardia Costiera e della Finanza migliaia di migranti, Bisogna agire in maniera intelligente, per non perdere la speranza di invertire la tendenza e subire passivamente lo status quo, per poi arrivare ad avere “le mani legate”.
Un inversione che si basi su aspirazioni, previsioni e immaginazioni, che sul piano culturale significa futuro, come afferma in questo stesso numero della Rivista della Domenica, R. Regni nell’articolo dove sostiene con l’antropologo americano di origine indiana Arjun Appaduraiche che “la speranza è l’equivalente politico del lavoro dell’immaginazione, perché è soltanto tramite una qualche sorta di politica della speranza che una qualunque società o gruppo può raffigurarsi il tragitto verso un auspicabile cambiamento dello stato di cose”. Un tragitto, mi permetto di aggiungere, che ha bisogno di intelligenza, di mani libere di agire per costruire nuovi rapporti, mani non macchiate di sangue, mani non armate né pronte a premere pulsanti nucleari.
Mi accorgo di aver enfatizzato abbastanza sul ruolo della mano, ma, chiedo venia per l’autocitazione, già nel mio libro Discorso sul corpo (2005) le avevo attribuito un ruolo centrale ricordando che è la parte visibile del cervello, come la definiva Kant, e che con questo si sono forgiati a vicenda permettendoci di saper fare, saper pensare e saper dire. Del resto come evidenzia il dipinto “La creazione di Adamo” che ho scelto come immagine iniziale di questo editoriale, Michelangelo ha posto il cervello sullo sfondo e in primo piano proprio la mano di Dio.
Ricordo infine che J. Hillman, all attribuisce alle mani due funzioni spirituali distinte della creatività e dell’autorità. Queste due funzioni dovrebbero costituire il postulato di tutte le iniziative già intraprese per provare a regolarizzare i flussi migratori dai luoghi di origine dei malcapitati che aspirano a vivere liberi, emendando le azioni dei governanti da speculazioni politiche ed egoismi di parte..
Ergo: diamo una mano ai cervello.