Abruzzesità poetica / 91
“LE PANE”
di Rino Panza
Nella stagione del bel tempo l’agitare del setaccio per cernere la farina diventava quasi un pretesto per intonare uno di quei canti popolari che parlavano di amore, gelosie e tradimenti e che, nell’immaginario delle più giovani, sapevano comunque di amori: amori sognati, sperati, aspettati.
Le donne più mature ascoltavano, canticchiavano col pensiero e rivivevano le loro, di storie, aggirandosi per casa e assolvendo ad altri impegni domestici. Manco si sentiva, fuori, il “Ta-tà” del setaccio perché d’estate, la strada viveva di altri rumori e suoni.
D’inverno, con le giornate corte e i suoni opacizzati dalla neve, si faceva più difficile cantare, lasciarsi andare a fantasie. “Le pane”, la poesia di Rino Panza, introdacquese, ricrea le immagini legate alla preparazione del pane, al giorno prima della sua cottura al forno di paese. La pioggia di farina, che cade nella madia dal setaccio in movimento nelle ore del mattino, apre quella specie di rito. La sera, poi, c’è il lievito da mettere “a ricrescere”: a lievitare con l’impasto, protetto dal tepore della farina tutt’intorno.
Alle prime ore del mattino successivo sarà la voce della fornaia a fare il giro del casato per dare il via alla fase conclusiva, quella che precede l’andata al forno e la cottura dell’impasto. E’ un lavoraccio? Forse, dipende, può darsi… ma ha dato e dà di che nutrirsi a tutti: pane e amore, entrambi essenziali alla vita.
LE PANE
di Rino Panza
Ta-tà, ta-tà, se sente lu setacce;
e piove com’a neve la farine
dentr’a la mesa: quest’è lu lavore
de la matine.
‘Mbacce la sere se mette lu crésce
e la farine tutte s’arabbotte;
se lassa sta accuscì parecchie tiempe
(tutta la notte),
affin’a che ’nte chiame a mattutine
dicenne la fernare: “Avante, è ore!”
e t’ha d’arrezzà nche na pacienze
a lu lavore.
Repinze a tutte cheste, mentre guarde
zumpà p’ammonte a bballe lu setacce;
tutta sudate, me fa Margherite:
“Che lavuracce!”
IL PANE
Ta-tà, ta-tà, si sente il setaccio
e la farina piove come neve
all’interno della madia: questo è il lavoro
della mattinata.
Verso sera si aggiunge il lievito
che s’impasta con tutta la farina;
lo si lascia stare così per molto tempo
(tutta la notte),
fino a che non ti chiama di buon mattino
la fornaia dicendo: “Vai, è ora!”,
e devi alzarti pazientemente
per (fare) il lavoro.
Ripenzi a tutto questo mentre guardi
l’andare su e giù del setaccio;
Margherita, tutta sudata, mi dice:
“Che lavoraccio!”