La storia al …”Mieli”

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La storia al …”Mieli”

di Pierluigi Palmieri

Ore 11,30, lezione di Storia. L’aula ha dimensioni inconsuete per gli studenti delle scuole superiori che la seguiranno con un’attenzione che lo stesso docente di turno, nelle sue conclusioni, definirà “soprendente”.  E dire che i ragazzi delle classi terze degli istituti avezzanesi  convenuti al Teatro dei Marsi non avevano mancato di contenere la loro esuberanza giovanile prima durante la presentazione di Armando Floris e dopo quando ha preso la parola per il saluto di rito Giovanni Di Pangrazio, Sindaco di Avezzano. All’esordio il “professore” Paolo Mieli, autore del libro Ferite ancora aperte, dalla seconda alla minaccia della terza guerra mondiale” dichiara di avere un debito di riconoscenza con la città che ha dato i natali a Bruno Corbi che lo ha sostenuto al suo esordio come giornalista e come storico unitamente a suo fratello Gianni.. Per questo si è dichiarato pronto ad accogliere ed a sostenere quanti tra gli studenti presenti volessero intraprendere una di queste professioni, o magari entrambe. Fin qui la premessa.

La lezione prosegue con l’esposizione di una delle idee forza che hanno caratterizzato il percorso del giornalista/storico per antonomasia. Studiare storia significa studiare lanche le ragioni dei perdenti, degli sconfitti, che la Storia  cerca di emarginare di abbandonare al proprio destino, e anche guardare con coraggio, ai torti e agli errori dei vincitori. La storia parla di grandi personaggi, di capi di movimenti, che sono risultati vincitori, ma siccome i torti non stanno sempre solo da una parte è giusto tirare fuori le cose che riguardano i perdenti della storia .

 Un metodo che ha stretta parentela con l’analisi dell’attualità, l’attività cronistica di un giornalista. Oggi può apparire che sia vincente la postura di chi, anche giovane, va in televisione e si comporta come se avesse tutte le ragioni e fa il maramaldo.

  Ma non è così, chi si impegna nell’analisi più approfondita è sicuramente più convincente. Alla lunga, ha rimarcato Paolo  Mieli, il maramaldo finisce  nel dimenticatoio e della sua analisi non resta nulla,  mentre il lavoro di chi è capace  fare silenzioso esercizio di apertura alle idee altrui ed è affezionato al proprio lavoro lascia il segno. Del resto  quello che vale per il giornalismo  vale anche nella vita, perché chi tiene conto dell’aspetto umano di quelli con cui entra in contrasto alla lunga si vedrà circondato da sempre più persone con cui interloquire. Chi dopo una diatriba esce vincitore ma riconosce la sussistenza di alcuni suoi torti e alcune ragioni dell’avversario, ( “Ho vinto io, ma voglio recuperare un rapporto. Io ho ragione su questo, questo e questo, e tu hai ragione su questo, questo e quest’altro”) vince nella partita della vita.

In proposito ricordiamo che Mieli ha dato prova di questa capacità in un articolo del suo Corriere della sera  dove riconobbe di aver commesso un grave errore nel sottoscrivere insieme ad altri intellettuali, tra cui Moravia, Eco, Argan, De Mauro, Bobbio e Gizburg, un manifesto di condanna dell’operato del Commissario Calabresi, accusato di aver torturato l’anarchico Pinelli per strappargli una confessione (1971). Nel 2002 sul più diffuso quotidiano italiano Mieli trattando di quella “storia” affermava testualmente che “Molti anni fa la mia firma capitò (me colpevole) in calce a un manifesto: nelle intenzioni dei promotori – e mia – quell’appello avrebbe dovuto essere a favore della libertà di stampa; ma, per una riprovevole ambiguità della formulazione, pareva che quel testo difendesse la lotta armata e incitasse al linciaggio di Luigi Calabresi. Poco dopo il commissario fu ucciso e io, a distanza di trent’anni, provo ancora vergogna per quella coincidenza. Come, credo (o quantomeno mi auguro), tutti coloro il cui nome comparve in fondo a quel foglio. E vergogna è dir poco: qualsiasi parola di scuse nei confronti di moglie e figli di Calabresi mi appare ancora a tutt’oggi inadeguata alla gravità dell’episodio” (v.“Attenti alle firme in calce agli appelli e ai manifesti”, in “Corriere della sera” 3 luglio 2002 e Mario Calabresi, “Spingendo la notte più in là”, Mondadori),

L’osservatore attento, non ha potuto  fare a meno di  ricordare nell’Enciclopedia Treccani si rintraccia il termine mielismo , che sta a significare tra l’altro “suggestioni perlopiù antiretoriche, non di rado articolate attraverso disseminazioni di dubbi su mitologie consolidate”

Il professore ha voluto concludere la sua “lezione” con un richiamo al valore della memoria invitando i giovani , che in tempi non lontani occuperanno posti di responsabilità, a prendere esempio da chi in passato, anche molto recente, ha dato prova di altruismo e spirito di sacrificio. Come il personale sanitario in occasione della terribile pandemia (“a ciascuno dei medici e degli infermieri che hanno perso la vita per salvare quella di migliaia di altre persone andrebbero intitolate strade e piazze in tutta Italia”). Ha spronato i giovani a impegnarsi fino all’indignazione per evitare la  caduta nell’oblio di questi professionisti, altrimenti in analoghe malaugurate circostanze sarà inevitabile soccombere. Indignarsi per l’ambiente, per la sanità per la previdenza è d’obbligo. Molto convinto Mieli nell’esortare i giovani ad impegnarsi in politica, a non permettere che a gestire la cosa pubblica ed il loro futuro siano personaggi squallidi e impreparati.

Alla richiesta di una studentessa sul percorso da seguire per partecipare correttamente in politica,  ha ribadito  che il modo giusto è quello di capire le ragioni altrui, munirsi della giusta ironia, di non fare del successo, come avviene spesso in televisione, un motivo di sopraffazione per prevalere sull’interlocutore con l’urlo e con la forza  (“fino a gonfiarsi la carotide”).  Un modo analogo a quello di dolcezza, di affetto. che si mette in atto nei rapporti umani con gli amici migliori. “Le religioni insegnano questo, ma anche chi non è religioso può capire che il fine ultimo per una persona della vostra età” -ha concluso Paolo Mieli-  “è quello di evitare momenti di rabbia cercando quelli in cui qualcuno degli altri possa trasmettere affetto., discutere in modalità totalmente diversa da quella aggressiva e barbara, E’ tutto qui”.

Seguono scroscianti applausi.

Nel pieno rispetto dei limiti imposti dalla curva dell’attenzione la degustazione della” Storia al… Mieli” è terminata.