HomeCulturaartiRODOLFO SIVIERO, MINISTRO 007 PER L’ARTE

RODOLFO SIVIERO, MINISTRO 007 PER L’ARTE

   

La storia dell’arte italiana , con le sue opere, si intreccia qualche volta, per caso o volutamente, con la storia che le contiene, diventando esse stesse oggetto di desiderio o di scambio, dentro un opaco scenario da spy story, che le rapisce sottraendole alla comunità. In questo mondo si muovono, con molta circospezione, nell’ombra curiosi personaggi che dentro una parvenza di normalità svolgono il ruolo rispettivo di “cacciati” o “cacciatori”, a seconda delle circostanze. Alle spalle percorsi di vita, apparentemente trasparenti; si muovono  alla luce del sole con la creazione di enormi fortune, (vedi gli ex agenti del KGB, Putin compreso), forse gli stessi ma sicuramente altri operano nell’ombra dei mercati clandestini alla ricerca di qualsiasi merce legale o illegale possa essere oggetto di scambio del tutto impermeabili a qualsiasi etica. L’apparenza nasconde naturalmente i rischi che giornalmente questa vita comporta, sempre sul filo del rasoio nel rischiare  la vita, in contrapposizione o in sintonia –  appunto- con personaggi altrettanto spietati. Tutto questo mondo si muove oggi sopratutto all’interno del dark, mondo profondo di internet, dove le cripto valute, insieme alle opere d’arte trafugate, sono la moneta di scambio per l’acquisto di qualsiasi illegalità e bassezza.

L’Italia ha, da questo punto di vista, un supporto di eccezione, a protezione del proprio patrimonio artistico, dato dal nucleo Carabinieri che se ne occupa professionalmente a tempo pieno ma non è sempre stato così.

Mi ha affascinato un libro intonso, scoperto anni fa in una botteguccia dell’usato, a Zurigo, dove si raccontava la storia di Rodolfo Siviero. Una storia appassionante, quasi misconosciuta ai più che ne racconta la vita emblematica e avventurosa ma sempre al servizio dell’Arte.

 

Come tutti gli eroi e le spie è rappresentato come un personaggio estremamente controverso a causa delle sue svariate appartenenze politiche, mai definitivamente accertate e svelate ,in questo suo muoversi già prima del secondo conflitto mondiale dentro quell’alone di mistero che, sempre lo ha accompagnato, proprio come una spia degna di questo nome: fra i servizi del SIM (servizio segreto militare italiano) prima, quelli della Repubblica sociale e infiltrato fra i nazisti; ministro plenipotenziario dello Stato italiano, nominato da DeGasperi alla fine del conflitto mondiale.

La Repubblica Italiana deve alla dedizione, alla passione e alla abilità di quest’uomo il ritrovamento e la restituzione di centinaia di opere d’arte rapinate al nostro patrimonio artistico. Come spesso succede, in questo nostro bel paese, questa figura enigmatica ma indispensabile era vista con sospetto e diffidenza: la sua non trasparente collocazione politica lo tenne sempre ai margini, tanto ai margini che non potè usufruire, nonostante gli impagabili servizi resi, di una pensione che gli venne assegnata solo da morto.

Il mondo oscuro nel quale Siviero si è mosso è lo scenario della seconda guerra mondiale dove l’occupazione del nostro paese aveva favorito gli insaziabili appetiti dell’apparato nazista di allora. Nel periodo post bellico far valere al tavolo degli Alleati le ragioni di uno stato vinto. Siviero Prima uomo dei Servizi fascisti, poi infiltrato in quelli nazisti e della Rsi, è lui il “monument man” che ha salvato grandi opere d’arte. Per i tedeschi è un pirata, gli americani non si fideranno mai di lui: ma alla fine è grazie al “monument man” italiano che la Leda del Tintoretto o la Danae di Tiziano, rapite da Hitler, tornano a casa. Sarà lui a mettere in salvo i quadri di De Chirico e l’Annunciazione del Beato Angelico. Dietro al doppiogiochista allergico alla politica, c’è  l’uomo che si indigna e reagisce ai soprusi abbracciando l’Arte sopra ogni cosa. Siviero è un caso unico: non era un professore, né uno studioso, lo chiamavano sprezzantemente “il soldataccio del SIM”. Alla fine, nonostante tutto, è lui a riportare a casa dalla Germania buona parte del nostro patrimonio nazionale. Figlio di un carabiniere, Rodolfo Siviero sogna di diventare un grande poeta, uno storico dell’arte. All’Università però non dà neppure un esame. Bussa ai giornali, pubblica un libro di poesie; ma non riesce ad affermarsi nel mondo della cultura. Eccelle invece nelle relazioni pubbliche: fin dalla giovinezza è accanito frequentatore del Caffè delle Giubbe Rosse, conosce Soffici e Annigoni, entra a far parte del cenacolo che ruota attorno al villino Serristori, casa del critico d’arte Giorgio Castelfranco, mecenate di Giorgio De Chirico.

 

Nella bella abitazione in riva all’Arno, Siviero stringe rapporti col critico e il pittore: un’amicizia a tre destinata a diventare preziosa nel tempo. Nel 1935 i servizi segreti dell’esercito italiano (SIM) gli offrono una collaborazione, l’intellettuale mancato sceglie la via dell’azione. Sotto la copertura di una borsa di studio, viene in-filtrato nell’Agenzia nazista di propaganda antiebraica, a Erfurt. «Mi mandano a fare l’antisemita, proprio a me…», scrive nei diari. A Erfurt osserva la confisca di beni ebrei da parte dei tedeschi: questa conoscenza si rivelerà fondamentale per il ritrovamento dei beni confiscati. Il novello agente segreto non condivide niente del Nazismo, ed il disaccordo sulla politica razziale è alla base della sua rottura col Fascismo. Nel ’38 le leggi razziali arrivano in Italia e, nello stesso periodo a dicembre, Siviero viene espulso dalla Germania: i tedeschi sospettano di lui, e così fanno i fascisti. Intanto Castelfranco di famiglia ebraica, viene prima trasferito, poi licenziato. I figli fuggono in America e lui lascia la casa a Siviero. Di fronte alla prospettiva del conflitto, l’Italia si sforza di mettere al riparo il patrimonio artistico: interi musei vengono svuotati e le opere costrette ad interminabili viaggi su strade accidentate e camion scoperti, per raggiungere ville e fortezze sparse sul territorio, dove si pensa siano più sicure. Ma niente ferma la voracità di Göring e Hitler: per compiacerei potenti alleati, è Mussolini in persona ad autorizzare l’esportazione illegale di opere preziose. Già nel 1938 parte il Discobolo del principe Lancellotti, copia romana dell’opera di Mirone; nel 1941 se ne va il Ritratto di Gentiluomo del principe Corsini, realizzato dal fiammingo Memling,( quadro per cui Siviero sviluppa una sorta di ossessione).La razzia di capolavori scatena la reazione dell’ex agente segreto: se non può entrare nel mondo dell’arte da protagonista, può almeno ergersene a paladino. Diventa capo di un gruppo di antifascisti che passano informazioni agli Alleati. Dal villino ceduto da Castelfranco – base operativa del nucleo clandestino – lo 007 trasformato in detective partigiano torna a spiare i tedeschi con i metodi appresi proprio in Germania, e raccoglie notizie per contrastare le requisizioni del Kunstschutz, l’ufficio nato per attivare l’esportazione illegale. Fra le pagine dei libri della biblioteca, Siviero accumula l’archivio segreto della Resistenza dell’Arte. La sua banda compie imprese spettacolari: ritira e mette al sicuro le vetrate del Duomo di Arezzo; batte sul tempo gli sbirri di Göring incaricati del prelievo di una Annunciazione del Beato Angelico; mette in salvo tutti i quadri di De Chirico dalla villa di Fiesole, usando uno stratagemma mentre lui e la moglie ebrea riescono a fuggire. Dopo l’8 settembre, il gioco diventa davvero pericoloso. Siviero decide di spendere la sua passata militanza nel SIM per infiltrare i servizi segreti della Repubblica di Salò, ritorna a lavorare con i fascisti passando però informazioni agli Alleati. Nel maggio del ’44 viene scoperto, arrestato, torturato e liberato in extremis grazie all’intervento di un superiore di Salò (anch’egli infiltrato). E’ palese che il nostro uomo è bruciato ma non vinto: è tempo di mettere a frutto l’archivio di informazioni sui saccheggi così pericolosamente raccolto negli anni. A cominciare dal pedinamento dei camion tedeschi che stanno trafugando a Campo Tures, in Alto Adige, migliaia di statue e quadri provenienti da tutta Italia, fra tutti il San Giorgio di Donatello e il Bacco di Michelangelo. Conoscere i nascondigli sulla via del Brennero, significa poter in futuro reclamare l’esistenza delle opere. Il gruppo di Siviero, in virtù delle informazioni raccolte negli anni, conosce i luoghi dove sono i depositi delle opere confiscare, in Alto Adige. Nel dicembre 1944, prima della nomina ufficiale nel 45,  Siviero riceve dal governo il compito di ritrovare le opere rapinate dai tedeschi. Nonostante ciò, il personaggio continua a non godere di fiducia. E’ oggetto di antipatie trasversali, comprese quelle del governo americano: essere stato spia fascista è un’onta che non si perdona. Nel maggio del’45, a liberazione avvenuta, inizia la partita per il recupero del patrimonio nazionale. A Campo Tures gli Alleati cedono in fretta: i capolavori si trovano ancora in territorio italiano, vengono restituiti senza troppe storie. L’arrivo a Firenze del treno che riporta a casa il San Giorgio e il Bacco, è salutato da una folla esultante. Ma il difficile deve ancora venire.

 

Pugno duro con tedeschi e americani. Sarà l’azione capillare e testarda di questo detective dell’Arte, a favorire negli anni il rientro di almeno una parte del patrimonio scomparso: fin dall’inizio Siviero mette in atto una intelligence tesa a rinvenire i percorsi occultati, identificare le opere, e produrre tutti i documenti necessari a reclamarle. Un’operazione che non sempre avviene alla luce del sole, e non sempre con metodi protocollati. Nell’autunno del ’46, Castelfranco e Siviero partono per il Central Collecting Point di Monaco, gigantesco deposito dove gli Alleati stanno accumulando i tesori razziati in tutta Europa. Obiettivo: negoziare la restituzione dei pezzi italiani trafugati dopo l’8 settembre. Producendo le prove dei furti avvenuti dopo l’armistizio, l’investigatore ottiene la restituzione del tesoro di Napoli, dai dipinti di Capodimonte ai capolavori dell’ Archeologico. «Queste opere erano state evacuate a Montecassino», spiega Tori. «Ma all’avvicinarsi del fronte i tedeschi decidono di trasportarle in Vaticano. Casualmente lungo la strada, 3 dei 15 camion prendono la via di Berlino e parcheggiano a casa Göring giusto in tempo per il compleanno del gerarca, nel gennaio del ’44». Ed è qui che nella torta con le candeline finiscono la Danae di Tiziano e la Madonna del Divino Amore di Raffaello, l’Apollo di Pompei e l’Hermes di Lisippo.

Tutto questo Siviero recupera, riuscendo a far valere i diritti dell’Italia come se fosse stato un paese occupato al pari di Olanda o Polonia. Ma il vero capolavoro diplomatico il rientro dei pezzi che i gerarchi nazisti acquistano con regolare contratto prima dell’8 settembre, quando l’Italia è ancora alleata. «L’ex agente riesce a dimostrare che le esportazioni sono avvenute in seguito a pressioni politiche ed in violazione delle leggi vigenti». Lo scontro a Monaco è feroce: le richieste italiane esulano dal regolamento sulle restituzioni, i tedeschi non vogliono cedere, gli americani si trovano in mezzo, alcuni decisamente sospettosi del capomissione italiano (nel frattempo nominato da De Gasperi Ministro plenipotenziario ) . Nonostante ciò, la rabbiosa determinazione di Sivieri è vincente: nel 1948, 39 capolavori ricevono l’autorizzazione alla partenza. L’Italia si riprende – fra gli altri – i quadri di Tintoretto e di Rubens, il Discobolo Lancelotti e il Gentiluomo di Memling, (dipinto-amuleto per Siviero, che vi identifica “il grande uomo del Rinascimento”, per me il modello umano più alto nella vita.

Il patrimonio nazionale sarà per  i trent’anni che gli rimangono da vivere il chiodo fisso dell’ex agente, che non perde occasione per denunciare l’incuria della classe politica in materia di beni culturali. Nel ’68, ritrova l’Efebo di Selinunte rubato dalla mafia a Castelvetrano sei anni prima.

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