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GLI INATTIVISTI DEL CLIMA E DELL’AMBIENTE

Sì, avete letto bene, inattivisti, non è un refuso, è un neologismo per indicare una precisa categoria di persone, di gruppi di interesse e di potere, che cerca di controllare l’opinione pubblica per i propri interessi ingaggiando una guerra che passa innanzitutto attraverso i mezzi di comunicazione di massa.  

Quella sul clima sta diventando una vera e propria battaglia, a tutti i livelli, globale e locale, economico e sociale, mediatica e culturale. C’era da immaginarselo dopo il summit di Glasgow, quando un evento rimbalza troppo sui media di ogni genere il rumore finisce per essere assordante. È una delle modalità paradossali della censura, che può consistere nel non dire la verità, ma anche, al contrario, nel dirne troppa. Allora, come la neve, l’eccesso di notizie e commenti ricopre tutto di bianco, e non si legge più il paesaggio. Allora l’intuizione di Greta Tunberg, che sarebbe finito in un bla bla bla, era giusta. Eppure è sempre importante incontrarsi in presenza, parlarsi, perché come diceva qualcuno “una bocca che parla non morde”. Il dialogo è sempre una cosa positiva, ma dietro il dialogo deve esserci la buona fede, l’onestà intellettuale e la persuasione, altrimenti rimane solo la retorica. Adesso le commissioni internazionali che stanno lavorando ai dettagli degli accordi qualche risultato lo raggiungeranno ma l’impressione è quella della lentezza, della sottovalutazione dei rischi che l’umanità corre, dell’urgenza di una riflessione e di un’azione coerenti per ridurre l’impatto ambientale complessivo dell’azione umana.

Tutti gli attori economici che fanno riferimento agli interessi legati ai combustibili fossili, come banche e imprese, ad esempio, sembrano accettare la carbon pricing, come le quote di CO2 imposte dall’Unione Europea alle industrie energivore e insalubri, ovvero l’idea che siccome il mercato, con il suo meccanismo dei prezzi che regola la domanda e l’offerta, è sensibile solo ai costi, è necessario dare un prezzo all’inquinamento. Infatti. fino ad ora tutte le imprese, quelle più inquinanti come le acciaierie e i cementifici, hanno potuto riversare i loro scarti in atmosfera senza dover pagare nulla. È uno dei numerosi fallimenti del mercato, questa entità cieca e impersonale a cui tutti sottostanno, che ci ha portato agli attuali, pericolosi livelli di inquinamento. Allora si è deciso che l’inquinamento, per essere ridotto, deve avere un prezzo e questo prezzo deve diventare sempre più alto. Questo anche per favorire la competizione con le energie rinnovabili (solare, eolico, ecc..), la cui produzione sarebbe altrimenti troppo svantaggiata e non riuscirebbe a raggiungere un livello di competitività tale da soppiantare quelle basate sull’uso dei derivati dal petrolio. Gli inattivisti hanno fatto però di tutto per far passare questo come una nuova tassa che avrebbe danneggiato l’economia e anche i cittadini, mentre in realtà avrebbe solo ridotto alcuni profitti e costretto gli imprenditori a progettare uno sviluppo davvero sostenibile nel tempo, che avrebbe garantito un futuro più sicuro ai nostri figli. 

Questo sta succedendo ancora, alcune imprese mobilitano i più deboli soggetti economici, come gli autotrasportatori, per creare conflitto sociale. La mobilitazione dei più fragili, degli scontenti, dei soggetti che rischiano di perdere il lavoro, ha la funzione di distrarre dai veri obiettivi che sono quelli di mantenere intatto il profitto economico e, di conseguenza, di immobilizzare lo scenario dell’azione politica e sociale a favore di una reale riduzione dell’inquinamento.  

Insieme alle soluzioni-non-soluzioni e al green washing, l’altra strategia degli inattivisti del clima e dell’ambiente è quella di dividere il campo avversario, quello dei cittadini preoccupati dell’ambiente e della salute che non hanno interessi né conflitti di interesse e sarebbero davvero disposti ad un onesto confronto democratico su queste questioni decisive. Ma questo non appare all’orizzonte e si preferiscono campagne di disinformazione, a livello locale e nazionale, dove non c’è limite alla menzogna. Forse, anche per questo, il nostro paese si colloca al 41° posto, lo stesso dello scorso anno, sulla libertà di stampa del World Press Freedom Index pubblicato da Reporter senza frontiere, nel quale si afferma tra l’altro che, “il giornalismo, principale vaccino contro la disinformazione, è al momento ostacolato in 130 paesi”.  Ma non c’è da stupirsi perché se quella sul clima è una guerra, come in ogni guerra, la prima vittima è sempre la verità. E su certe questioni si respira un’aria che ricorda quella descritta da G. Orwell in 1984, “tutto svaniva nella nebbia. Il passato veniva cancellato, la cancellazione dimenticata, e la menzogna diventava verità”.

Non avrei mai immaginato di trovarmi impegnato in prima linea, a questa altezza della vita, in uno sforzo intellettuale ed esistenziale, in una battaglia locale per la difesa della mia città e del suo futuro, della mia regione e del mio paesaggio. Ma a pensarci bene, sarebbe strano il contrario. Ho già scritto che oramai siamo tutti impegnati a diventare attivisti ecologisti, perché il contrario significa essere inconsciamente reclutati nelle fila degli inattivisti e dei negazionisti dei problemi climatici e ambientali, che sono la stessa cosa. 

L’inattivismo non è una versione aggiornata e mondiale della geniale intuizione del principe di Lampedusa quando scriveva “cambia tutto affinché non cambi nulla”. Non lo è non lo può essere perché siamo più nell’Ottocento e neanche nel Novecento. Non siamo più in un mondo in cui i cambiamenti erano lenti e locali, ma in un universo in cui i cambiamenti sono veloci e globali, così come sono globali le conseguenze delle non decisioni e delle decisioni-non-decisioni. Anche il principe di Salina avrebbe capito che il “Medicane”, l’uragano mediterraneo che si è abbattuto qualche tempo fa sulla sua bellissima isola è qualcosa di nuovo ed inedito. Avrebbe capito l’inedita velocità della crisi climatica e persino lui sarebbe uscito dalla sua lenta indolenza, che proponeva come superiore saggezza, e avrebbe fatto davvero qualcosa di nuovo.  

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