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DE ANDRÉ E IL “FEMMINICIDIO” DEL 1964

POST 140

De André e il “femminicidio” del 1964

 

Appartengo a una generazione che lo chiamava “Fabrizio” e basta. E mi accorgo che mi capita di farlo ancora. Il 45 giri de “La canzone di Marinella” mi venne consegnato impacchettato in carta di giornale. “Perché non si sa mai” tenne a farmi sapere la commessa del negozio Gamberini in Corso della Repubblica a Forlì. Era il 1964. Quella “canzone” – si direbbe oggi – parlava di un femminicidio.

Manca da venticinque anni, Fabrizio. Non è arrivato ai 60: e per la verità nemmeno ai 59. Se prima mi era difficile sopportare la sua scomparsa, adesso diventa autenticamente doloroso. Fatti miei. Anche Giorgio Gaber, d’altra parte, non è andato molto oltre.

Il grande Marcello Marchesi diceva che è “importante che la morte ci trovi vivi”. Ed era vivo Fabrizio! Vivo e certamente gravido di altri capolavori. Se è vero com’è vero che le sue due ultime opere, successive all’immortale “Créuza de mà”, avevano alzato l’asticella della sua sfida artistica a livelli sublimi: “Le nuvole” (scritto con Mauro Pagani, ma anche col decisivo contributo di Massimo Bubola – con “Don Raffaè” – e in parte minore di Ivano Fossati) e “Anime salve” che diventa il suo testamento (scritto interamente con Fossati)

Fabrizio… Il cognome (che in lui suscitava un certo pudore, vista la visibilità alto-borghese della famiglia) sarebbe arrivato solo “dopo”. Sdoganato dal successo di cui fu levatrice Mina, facendo uscire dalla nostre gelose cantine proprio “La canzone di Marinella” (che poi era il lato B di “Valzer per un amore”). “Se non ci fosse stata lei, io avrei fatto probabilmente il pretore, non il cantautore” disse. E probabilmente in galera non avrebbe mandato mai nessuno.

I suoi primi dischi (“Marinella” appunto e “Re Carlo”) noi adolescenti ce li portavamo via dal negozio eccitati e furtivi. Salvo poi rinasconderli a casa. Perché anche li “non si sapeva mai”. Poi arrivò la luce: accecante. E da quel momento in poi quando si tornava in negozio – nel mio caso ormai della grande, non più della piccola città – ci si presentava a testa alta sapendo di essere fighi perché noi lo conoscevamo “da prima”: e se ne usciva comunque con album che avrebbero fatto la storia della musica. E anche della poesia!

Ho provato a fare una classifica delle sue canzoni più belle. Qualcosa che assomigli non dico a un podio, ma almeno a una top ten. Impossibile! Ne resta sempre fuori una: ma anche più di una. E allora ho capito che la play list che ci ha regalato Fabrizio è così straordinaria, così vasta, così avvolgente, così spaventosamente “avanti” che varia con i nostri sentimenti. C’è il giorno di “Bocca di rosa”, il giorno di “Amico fragile”, il giorno di “Preghiera in gennaio”, il giorno della “Guerra di Piero”, di “Via del Campo”, di “Don Raffaè”, della “Canzone dell’amore perduto”, di “Créuza de ma’”, del “Fiume Sand Creek”, delle “Tre madri”, del “Giudice”, del “Testamento di Tito”, del “Suonatore Jones”, dell’”Hotel Supramonte”, di “Dolcenera”, delle “Passanti”, della “Cattiva strada”, di “Via del Campo” col profumo di Enzo… E appena hai finito di metterle in fila butti via tutto e ricominci: caso mai dalle prime, da quelle che te l’hanno fatto amare. Amare per sempre!

Sono orgoglioso di essere vissuto nel periodo in cui è esistito Fabrizioi. E mi dispiace per coloro che non hanno avuto questa fortuna: la fortuna di poter ascoltare le sue canzoni proprio nel periodo in cui un ragazzo ha bisogno di sognare….

 

(Marino Bartoletti – Facebook gennaio 2024)

 

 

 

 

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