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COSA BOLLE NELLA PENTOLA DELLA FINANZIARIA

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COSA BOLLE NELLA PENTOLA DELLA FINANZIARIA

                                                                                                                di Mario Travaglini

     Per abitudine consolidata non scrivo alcunché prima che la legge di bilancio venga  approvata,  riservandomi di commentarla una volta resa definitiva con la  pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Il motivo è semplice e facilmente spiegabile: non ho mai avuto intenzione di partecipare a quello sport assai in voga nel nostro Paese che consiste nel giudicare provvedimenti non ancora ufficialmente adottati al solo scopo di confondere i lettori o portare acqua al mulino della maggioranza o dei vari partiti di opposizione. Una vera e propria perdita di tempo che non giova a nessuno e serve solo ad intorbidire le acque della politica che, in verità, sono già torbide di per sé.

Questa volta faccio una eccezione perché desidero affrontare un argomento che a mio avviso ne condizionerà fortemente la formulazione, indipendentemente da quello che sarà poi il contenuto finale. Parto dall’unico dato certo: il Governo ha dichiarato che aumenterà il deficit, ossia che spenderà una certa quantità di denari senza avere la copertura derivante dalle entrate. Infatti, nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (NADEF) approvata dal Consiglio dei ministri, è stato stabilito un aumento del deficit al 4,3% ,  rispetto al 3,7% precedentemente concordato, per finanziare la manovra del 2024: in questo modo, le risorse per la Legge di bilancio ricavate in deficit passano da 4,5 a 14 miliardi. Se da un lato la notizia è positiva perché consentirà di ridurre il costo del lavoro (cuneo fiscale di 6/7 punti), portando sollievo ai lavoratori dipendenti e pensionati che vedranno aumentare le loro mensilità, dall’altro è preoccupante, perché lo Stato aumenterà il suo monte debiti, sul quale, purtroppo, sarà costretto a pagare interessi sempre crescenti, togliendo risorse per gli altri pur necessari interventi. Proprio due anni fa l’allora Primo Ministro Mario Draghi, in occasione della stesura della Legge di Bilancio per il 2022, affermò che nel bilancio  del 2024 gli interessi sul debito pubblico avrebbero inciso per circa 50 miliardi. Oggi quella previsione si è rivelata non solo sottostimata ma addirittura strampalata, buttata lì giusto per dare una indicazione di massima e calmare le acque che in quel momento nel Governo erano abbastanza agitate. Infatti, a causa dell’inflazione, degli alti tassi che la BCE si ostina a mantenere alti (1) e dell’aumento del debito pubblico di ben 350 miliardi che i Governi in carica hanno prodotto dal 2020 al 2022, gli interessi che lo Stato dovrà corrispondere saranno quasi il doppio, attestandosi ad una cifra poco sotto i 100 miliardi. Una mostruosità (2). Come direbbe Lubrano, la domanda sorge spontanea: perché i Governi costituiti con i migliori fichi del bigoncio non hanno approfittato dei tassi a zero (2016-2022) per ridurre il debito ? Per essere ancora più chiari : nell’autunno di tre anni fa i BTP  del Tesoro erano emessi con rendimenti pari allo 0 % mentre oggi, come ho spiegato nell’articolo della scorsa settimana, hanno rendimenti intorno al 5%. Il che vuol dire che sul denaro ricevuto in prestito lo Stato -allora- non pagava interessi mentre oggi dovrà corrispondere  tassi intorno al 5%. La cosa più buffa e  paradossale è che i manovratori di allora chiedono al Governo in carica di fare oggi ciò che loro non hanno fatto sebbene abbiano goduto per lungo tempo di uno scenario economico-finanziario molto favorevole. Dopo aver buttato al vento diversi anni di tassi a zero e aumentato il debito con bonus, superbonus, gran parte del reddito di cittadinanza ed altre gratuità (come le chiamava il Primo Ministro Conte) oggi i nodi vengono al pettine, proprio in un momento in cui il quadro economico mondiale mostra tutte le sue criticità. Gli applausi incoscienti di qualche anno fa sono destinati a  trasformarsi in biasimi perché occorrerà pur prendere coscienza che distogliendo dalla prossima finanziaria cento miliardi per coprire vecchie negligenze impedirà  di intervenire su altre materie che da lungo tempo aspettano di trovare soluzione. Per il bene di tutti mi auguro che l’esecutivo escogiti un modo soddisfacente per risolvere la questione e che, soprattutto, non si confondano i ruoli tra chi ha fatto i debiti  e chi quei debiti li dovrà pagare.

(1) mentre scrivo apprendo che dai verbali del 13 e 14 settembre appena pubblicati sembra emergere che la decisione di alzare di nuovo i tassi sia stata presa a maggioranza e non all’unanimità e che i calcoli dell’inflazione erano addirittura sbagliati. Madame Lagarde ci cova. Vi terrò informati.

(2) segnalo che  Nomisma ha valutato l’intervento tra i 140 e 150 miliardi.

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