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GESSI di Giovanni Carta – GALLERIA BONAIRE CONTEMPORANEA, ALGHERO

Il ciclo dedicato ai pittori residenti nella città di Alghero si chiude, alla galleria Bonaire Contemporanea di Alghero, con la mostra dedicata a Giovanni Carta, nato a Ota (Francia) nel 1938, Corso per nascita ma sardo di adozione, trascorre gli anni della formazione a Sassari, dove frequenta l’istituto Statale d’Arte sotto la guida di Stanis Dessy e Filippo Figari. Nel 1962 sitrasferisce ad Alghero, dove vive e lavora. Ha partecipato a numerose mostre a livello nazionale e internazionale. Le sue opere fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private. Pubblichiamo il testo  a cura del critico d’arte Mariolina Cosseddu. (R.P.)

PER GIOVANNI CARTA

di Mariolina Cosseddu

GESSI 

“Sono nata a pochi passi da qui, nello studio del mio autore,  con le ultime arrivate ho trovato posto dove ne restava tra colle, libri, squadre, polveri di terre, pentolini, le sorelle Pause, Frequenze, Terre, Arie…  

Ora non nascondo l’emozione, sono qui con voi, nella Galleria Bonnaire, alla nostra prima esposizione”.                                       

                                                                    Un gesso su tela 

A parlare, come si legge nella firma, è l’opera stessa che ha appena lasciato lo studio del pittore per trovare posto, con gli altri gessi della mostra, sulle pareti di Bonnaire contemporanea. Gli autori di questa voce sono Vittorio e Nicola Carta che, nel gioco colloquiale tra padri e figli, hanno ideato un dispositivo inconsueto e divertito per adempiere al ruolo di critici in famiglia. Un ruolo che è stato il leit motive della triade di maestri ideata da Gianni Nieddu e ospitata nella sua bellissima galleria. Nicola Marotta, Salvatore Esposito, Giovanni Carta. 

Il gioco, bisogna ammetterlo, poteva apparire inconsueto quanto intrigante:  figli che presentano i propri padri e che rivestono, per un momento, il ruolo di critici d’arte per parlare, da una angolazione affettiva, delle opere di genitori illustri. In realtà bisogna anche ammettere che, in tutti i casi, i figli in questione appartengono a mondi limitari a quello squisitamente pittorico: architetti come Antonello Marotta, Vittorio e Nicola Carta, e street artist del ricamo come Coquelicot Mafille. Dunque il loro sguardo, in qualche modo più vicino e implicato nella vicenda paterna, ha offerto motivi e aspetti  insoliti alla comprensione dei lavori in mostra. Persino il breve contributo dei fratelli Carta ci dice del rapporto intimo che hanno stabilito con manufatti di cui seguono la genesi e ascoltano voci.

Gessi appare come un’altra sfida, un ulteriore prova di resistenza e approfondimento di una modalità operativa esercitata caparbiamente negli anni e sempre sorprendente perché rivela, nell’essenzialità del dettato pittorico, la maestria di un linguaggio tanto rigoroso quanto lirico e seduttivo.

 

 Terreno di sperimentazione è  la materia gessosa che entra in relazione con la tela di lino in un connubio continuamente variato nella configurazione e nei toni. La riflessione sulla materia e sulle sue risposte è tema investigato nel tempo da Giovanni Carta, appassionatamente scandagliato nelle differenti fasi operative della sua lunga attività, sottoposto a soluzioni rare e preziose, strettamente connesso al colore come luogo simbolico dell’esistente. Anche in queste composizioni la bicromia si offre con esasperato rigore  e lucida analisi delle parti in tensione reciproca, in una partita che, come nella vita reale, sprigiona energie da contenere e controllare. Tanto più poi se la materia è quella naturale della roccia sedimentaria come il gesso e della elastica fibra di lino, sostanze che portano con se la memoria del loro passato e la storia delle proprie trasformazioni.  Impegnate, qui, a definire ciascuna il proprio ruolo senza interventi esterni, senza manipolazioni artificiose, semmai date nella nudità di una condizione primigenia che chiede riflessione sullo stato di natura delle cose. 

  Protagonista  rimane lo spazio, quello spazio che Giovanni Carta costringe ad assumere andamenti geometrici o, se si vuole, è l’intervento della strutturazione geometrica a dare forma alla superficie. Il rapporto dialogico diventa così un fatto visivo, una dialettica di equilibri e asimmetrie, di squarci e fenditure, di negazioni e richiami. Ciò che conta è il senso di armonia, la bilanciata percezione delle parti, il punto di non ritorno delle cose. Che, in questo caso, sono le componenti cromatiche e materiche inalterabili nella singolarità compositiva, costruzioni mentali di un mondo alla ricerca di un ordine superiore. 

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