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BERLUSCONI, L’ UOMO DELLA DISCORDIA

Valore & Valori /104

        BERLUSCONI, L’ UOMO DELLA DISCORDIA

di Mario Travaglini

   La redazione di questa rivista non ha ritenuto di accodarsi ai peana post mortem o alle stroncature a volte pesanti ed incivili che in numero assai rilevante sono apparsi sulla stampa quotidiana e settimanale dal giorno del decesso di Silvio Berlusconi. Scriviamo oggi sperando che il lasso di tempo trascorso ci permetta di inquadrare, con serenità e distacco, l’uomo, l’industriale e il  politico, ben sapendo che il personaggio si presta ad essere valutato sia per le decisioni  non sempre lineari e spesso apparentemente ecumeniche ma divisive e sia per comportamenti politici sovente opachi se non addirittura incomprensibili. Voglio subito liquidare la questione morale riprendendo l’omelia di Monsignor Delpini che ho letto non senza meraviglia se non altro per l’assenza di qualsivoglia riferimento allo status di divorziato che, ufficialmente, la Chiesa ancora condanna.

Tuttavia, dopo una introduzione alquanto contraddittoria ed una parte centrale incentrata sui meriti e sulle intuizioni industriali, il prelato, nella parte conclusiva,  ha affidato il defunto al “Magistrato Superiore”  con queste parole “È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia…….. E ora incontra Dio” . Un giudizio per il quale non c’è appello, non ci sono avvocati, non ci sono dibattiti televisivi, non c’è invidia, non ci sono dietrologie demagogiche, è cassazione definita, definitiva, finalmente vera e seria.

Almeno per chi crede e ci crede.

 Non è il caso, quindi, di continuare a giudicare il Cavaliere  per quello che ha fatto sotto le lenzuola della sua abitazione quando  l’immagine consolidata dell’Italia nel mondo è quella di un Paese godereccio con un’etica e una morale approssimative.  Ciò che dovrebbe interessare ,invece, è comprendere se egli sia stato un uomo d’affari o un’affarista, un uomo politico o un politicante,  un uomo personaggio o una personalità, un uomo intelligente o semplicemente astuto.

 La storia ci dice che tutte le sue azioni, dall’immobiliare al calcio, dai media cartacei a quelli televisivi di massa, dalla banca e le assicurazioni alla comunicazione,  sono state orientate a realizzare le sue ambizioni che nell’ambito politico avevano l’intendimento di mettere tra parantesi i conflitti, dissimulare la violenza, allontanare gli anni del terrorismo che avevano insanguinato la storia italiana del periodo antecedente alla sua discesa in campo, aprire una stagione di riforme liberali portando l’Italia a ripetere il boom vissuto negli anni sessanta. Quello che promette è irresistibile. Le sue infrastrutture mediatiche contribuiscono non poco a farlo credere: l’Italia può diventare un altro successo dopo quelli ottenuti con le sue imprese. Ma, dopo aver fermato la gioiosa macchina da guerra di Occhetto con una singolare e poco amalgamata alleanza, la sognata rivoluzione liberale si inceppa e appassisce lentamente.  Nel corso di due decenni la sua traiettoria politica perde consistenza e credibilità a causa dei continui attacchi portati dalla magistratura, da un lato, e del suo carattere narciso che lo induce a sbagliare tutti i rapporti con i suoi alleati, dall’altro.

 Io non so se, con una magistratura inquirente meno invadente e meno disposta a condividere con un certo giornalismo d’assalto  in cerca di visibilità e di ritorni economici, si sarebbero tenuti i tanti processi fondati sul nulla che, di fatto, hanno finito per  condizionare l’azione politica del Cavaliere (le recenti dichiarazioni di Paolo Mieli nella sua veste di ex direttore del Corriere della Sera sono alquanto illuminanti). Certo è che direttamente o indirettamente, o anche solo psicologicamente, quei processi hanno avuto effetti non secondari sulle scelte di governo, sulle alleanze e su Berlusconi stesso al quale va riconosciuto quanto meno l’onore delle armi per non essere riuscito a realizzare la sua “rivoluzione liberale in senso popolare”.

Quanto al suo innato narcisismo ritengo che abbia giocato un ruolo importante portandolo a sbagliare tutti i rapporti con i suoi alleati, pensando che concedendo loro più deputati e poltrone sarebbe rimasto al sicuro dal protagonismo di gente che fino ad allora vivacchiava ai margini del Parlamento e del Senato. Chi non ricorda le stravaganze dell’UDC, a cui aveva permesso di accedere anche alla vice-presidenza del CSM, e quelle inconcludenti del miracolato Follini, prima, e di Casini, dopo.

Impossibile non ricordare neppure la vicenda rimasta in piedi per lungo tempo con Alleanza Nazionale, il cui capetto futurista l’ha ripagato in modo assai peggiore con strappi ed atteggiamenti dai quali ne è uscito politicamente indebolito. In sostanza dal vicolo cieco in cui era finito non è riuscito più a districarsi, né per indicare un suo delfino, né per reiterare la promessa di un sogno italiano di libertà, né per recuperare una classe media lungamente blandita con promesse di una abbondanza accessibile, sgretolatesi anche per effetto della fine della crescita dopo i noti fatti del 2008.

Può sembrare paradossale ma proprio queste non vittorie lo rendono attuale e  possono avere un senso nel momento in cui saranno raccolte, come sembra, dal Governo attualmente in carica. Se tutto questo dovesse accadere in un futuro molto prossimo e le alleanze attuali dovessero con il tempo consolidarsi a Berlusconi andrebbero riconosciuti i meriti di una stabile e strategica alleanza delle destre che con la sua leadership  non ha mai dato grandi risultati. Tutt’altro.

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