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RECESSIONE: IL GIOCO DELLE TRE CARTE

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RECESSIONE: IL GIOCO DELLE TRE CARTE

di Mario Travaglini

 Dopo tanto parlare per esorcizzarla, dopo una revisione statistica sofisticata e minuziosa, l’economia della zona euro è stata ufficialmente dichiarata in recessione. Una questione di piccole cifre dopo la virgola. Nel primo trimestre 2023 anziché crescere dello 0,1% il PIL complessivo è sceso dello 0,1%, cosi come comunicato la scorsa settimana dall’Istituto statistico europeo (Eurostat). La sentenza era nell’aria, visto che la stessa flessione s’era già verificata nel corso dell’ultimo trimestre del 2022.  E, per l’appunto, quando per due trimestri successivi  il PIL è negativo si parla di recessione tecnica. In sostanza l’Europa, dopo essere stata lodata nel corso di tutto l’inverno per la sua sorprendente resilienza, è finita per arretrre quando,invece, la gran parte degli economisti allineati  da mesi annunziavano una recessione negli Stati Uniti che a tutt’oggi ancora non c’è. Questa correzione statistica è talmente minima che l’ufficio economico della ING Bank l’ha definita come una sorta di “ larga stagnazione”. Tanto più che essa non è assolutamente percettibile sul mercato del lavoro che, paradossalmente,  evidenzia un dinamismo occupazionale significativo con un aumento dello 0,6% nel primo trimestre 2023, segnando nella intera zona euro il più basso livello di disoccupazione di sempre (6,5%). Tuttavia non possiamo nemmeno dire che la recessione sia piovuta dal cielo in maniera improvvisa quando la Germania, insieme ai  Paesi Bassi, Irlanda, Grecia, Estonia, Lituania e Malta,  ha dato in gennaio un segnale forte e chiaro con una flessione del PIL dello 0,8%. Tenendo conto del peso di ciascuna nazione, sappiamo bene che senza il dato tedesco la zona euro non sarebbe i recessione,  ma quando il suo  motore tossisce tutta la zona euro ne risente. E evidente che si tratta di un segnale d’allarme per la Germania il cui modello di sviluppo è stato messo in discussione, come ho già avuto modo di dire  in un altro articolo quasi un mese fa. Dal punto di vista della domanda interna ha fatto peggio della Francia e molto peggio dell’Italia, mentre sul versante delle esportazioni non ha retto il passo né con la Spagna né, tanto meno, con l’Italia, mostrando anche un netto calo nella quota di esportazioni verso la Cina. Il risultato è che la l’attività industriale tedesca resta sotto i livelli ante pandemia come, d’altra parte, quella olandese (-0,7%), mentre in tutti gli altri paesi del continente si colloca ad un livello decisamente superiore. Altra perturbazione statistica è quella dell’Irlanda che ha mostrato un PIL fortemente in calo con una perdita del 4,6% nel primo trimestre del 2023 quando nell’ultimo del 2022, in modo quasi insolente, aveva raggiungo una crescita del 12% . In questo Paese gli alti e bassi del PIL non fanno notizia in  quanto riflettono in maniera spropositata  le manipolazioni contabili delle multinazionali che in quel territorio hanno stabilito la loro sede sociale. Il quadro si inverte,con una dinamicità inusuale, nei paesi dell’Europa del sud dove nel primo trimestre 2023 il Portogallo fa segnare la più alta performance (+1,6%), seguito dall’Italia (+0,6%) e dalla Spagna (+0,5%), risultati che verosimilmente proseguiranno anche nei trimestri successivi trainati soprattutto da una stagione turistica molto promettente. Lo stallo europeo, perché di stallo si tratta, è giustificabile solo con una inflazione che non demorde e che anzi continua a dispiegare i suoi effetti negativi sulle economie di molti paesi europei. Infatti, l’aumento dei prezzi avendo pesato sul potere di acquisto ha finito per ridurre i consumi.  Di contro, l’inverno relativamente mite insieme alle azioni di sostegno alle famiglie ed alle imprese (leggasi bonus) ha consentito di evitare una flessione economica ben più forte come la crisci energetica scaturita dalle vicende russe-ucraine aveva fatto prevedere. Se vogliamo usare una metafora che renda bene il quadro, possiamo dire che si è trattato di un “atterraggio con scarsa visibilità”, ma che non ha niente di veramente sorprendente, vista l’azione tambureggiante del rialzo dei tassi praticato dalla BCE. Insomma una recessione leggera che per il momento tiene, senza bagni di i sangue dal lato del mercato del lavoro, ma che a mio parere diventerà più dura nei prossimi mesi qualora alla Germania dovesse aggiungersi anche la Francia che, ricordo, avendo già un PIL prospetticamente  tendente al negativo, potrebbe subire in modo più pesante gli effetti dell’ulteriore rialzo dei tassi deciso dalla BCE di Madame Lagarde non più tardi di giovedì scorso. Proprio la Banca Centrale Europea dovrebbe sapere che dopo un inasprimento senza precedenti delle condizioni di prestito e un calo della domanda di credito da parte di famiglie e imprese, è molto probabile che la depressione continui fino ad aggravare la recessione oggi in atto. Fortunatamente la stretta non ha ancora avuto l’effetto atteso sui salari, i cui aumenti continuano in linea con il dinamismo del mercato del lavoro. In Italia questi effetti sono ancor più evidenti grazie ai provvedimenti presi dall’esecutivo con il rafforzamento del cuneo fiscale. Alla luce di quanto sin qui detto, mi sembra difficile che la previsione di crescita del l’1,1% messa nero su bianco non più tardi di un mese fa dalla  Commissione Europea possa essere raggiunta entro la fine dell’anno. Gli unici paesi che potrebbero conseguire questo risultato sono solo due: il Portogallo e l’Italia, gioco delle tre carte permettendo.

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