HomeCulturaarti“PORTI NASCOSTI MARINAI SENZA PATRIA”. MAX MAZZOLI , PARCO DELLE ARTI MOLINEDU – SASSARI

“PORTI NASCOSTI MARINAI SENZA PATRIA”. MAX MAZZOLI , PARCO DELLE ARTI MOLINEDU – SASSARI

Nella splendida cornice del Parco delle Arti di Molineddu è fiorita un’altra esposizione che racconta l’arte di Max Mazzoli. La mostra è presentatta in catalogo dal critico e storico dell’arte Mariolina Cosseddu della quale. volentieri. pubblichiamo il testo critico. (R.P.)

 

PORTI NASCOSTI MARINAI SENZA PATRIA

di Mariolina Cosseddu

Nell’attività artistica di Max Mazzoli c’è un prima e un dopo: il prima è un tempo che precede i lavori in mostra, il dopo è un presente in evoluzione che questa tappa mette in luce e dà avvio a un nuovo percorso. Di arte e di vita.

       

La cerniera che apre e chiude i due momenti è fatta di vulnerabilità e travagli, fisici e psichici, che la pittura prova a trasfigurare in dettato sorprendentemente felice, onirico, proiettato su inaspettate metamorfosi figurali. 

Il titolo è un’indicazione quasi trasparente nella narrazione che evoca e nell’andamento poetico che prefigura. Perché l’itinerario della pittura di Max Mazzoli ha assunto un registro inedito e spregiudicato, lontano da scelte programmate e progetti rigidi, per un abbandono lirico a emozioni e apparizioni in processo liberamente creativo.  

     

In realtà le radici di questa scelta sono già state gettate anni addietro quando, nel suo universo visivo, prevaleva la tendenza noir, il taglio cinematografico, l’inquadratura sghemba, la composizione impeccabile e colta nei riferimenti pittorici e filmici. Lì la pittura di Max Mazzoli ha incrociato, diverse volte, un’apertura all’immaginario oltre la realtà tangibile, concessione momentanea al proprio vissuto poetico. Questa procedura è andata definendosi più profondamente negli ultimi anni fino ad assumere una suggestiva narratività fatta di visioni spettacolari e  talvolta quasi apocalittiche, di atmosfere surreali e dettagli impensabili dove si incontrano sogno, visionarietà e deliberata trasgressione logica. Contro ogni possibile racconto ordinato e mimetico, la pittura di Max Mazzoli rompe gli argini del conosciuto e affronta, con una nuova forza d’urto, una condizione intima espressa in simboli e scenari oscillanti tra veglia a occhi aperti e allucinazioni poetiche. 

Fondamento di ogni lavoro, allora e adesso, rimane il dato virtuoso di perfezione tecnica, una tecnica lenta e paziente ma che, come un demone, alimenta il movimento ritmico di mani talentuose. 

Più volte, lui stesso, ha ribadito la similitudine tra il fare pittorico e l’eccitazione dei sensi che conduce a un piacere pieno e totalizzante in grado di appagare e lenire persino il tormento della sofferenza. 

Che questa in atto possa essere letta dunque come una rinascita lo suggerisce una serie di lavori in cui emerge necessariamente il passato con cui fare i conti. Come in “ Da Terrazza Mascagni guardavo Montenero” (2022): per un livornese come lui, questa immagine è luogo catartico, crogiolo di infanzia e affetti familiari, ricordi lontani e ripensamenti recenti. La composizione pittorica si delinea su un dettato di precisione segnica talmente verosimile da togliere il fiato, se non fosse per un particolare che dà vita nuova al tutto: un cuore rosso galleggia al centro dello spazio e capovolge la percezione delle cose. Il luminoso tramonto sullo sfondo  ( simbolo consueto di trasformazione ) rischiara le dense ombre dei primi piani e incendia l’orizzonte con bagliori caldi e rassicuranti.  Presagio di giorni di luce. Così anche nel “ Al Porto di Livorno” (2022) e in “Lullaby for my love” (2022), dove in entrambi i casi appare, simile a un tatuaggio di fuoco, un piccolo cuore fiammeggiante in una natura che freme e vibra con un battito accelerato.   E tutto si chiarisce. Come una madeleine proustiana. Come l’orologio della dogana di Joyce, quei paesaggi sono epifanie visive, confessioni dissimulate, segnaletica emozionata di un vissuto in fermento. Il dettaglio è l’atto rivelatore, ce lo conferma Daniele Arasse ( Il Dettaglio, 2010), di momenti privilegiati , di  ammissioni tardive, di sogni appaganti (“Ho sognato che mi guardavi dormire”, 2022). Non c’è dubbio allora che la pittura di Max Mazzoli sia un’autobiografia sublimata,  una pratica terapeutica in cui si intrecciano debiti metabolizzati nel tempo ( dai Macchiaioli all’iperrealismo, da Caravaggio al livornese Vittorio Corcos, da Linch a Hopper in una continua personalissima scorribanda tra cinematografia e figuratività europea e americana), memorie rinnovate, depositi di un inconscio a tratti rivelato, “intermittenze del cuore” avrebbe detto Giacomo De Benedetti. Ne discende una figurazione  intensa e immaginifica, sempre più votata all’introspezione, proiettata su piani slittanti in abissi simbolici, accesa da toni cromatici di densa e satura   profondità espressiva. Se osserviamo “Abbiamo tutti un ricordo” (2023) o “Io con voi non ci sto più” (2023) e, ancora, “Sono dove avrei voluto sempre essere, e senza patria. Ognuno porterà qualcosa” (2023), non potremo non essere catturati da una forza magnetica che supera livelli compositivi ibridi e fantastici dove convivono universi paralleli della ragione e dell’anima, dell’aria e del fuoco, dell’oscurità e della luce senza soluzione di continuo. Attraversare quei confini significa immergersi in un’esperienza sensoriale eccitante, entrare nella materia controllata amorevolmente,  nel colore che risuona di echi misteriosi, dove i titoli rendono ancora più intricato il viaggio narrativo.  A cui si lega un singolare bestiario di esseri preistorici (“ Ero già un mostro mentre stavi nascendo”, “Meraviglie perdute” (2022), di piccole creature guardate con tenerezza (“L’insostenibile incomprensibilità dell’essere” o “L’insostenibile perplessità dell’essere”, “Io c’ero” 2023), di superbi cavalli (“Sono asperger”, “Lassù da noi è sempre primavera”, 2023) o di una girandola magica di uccelli azzurri: condizioni esistenziali in forma animata, allegorie addomesticate di pensieri in transito libero. 

 

Se la natura che accoglie il tutto è dipinta da Max Mazzoli come solo i maestri del primo Ottocento sapevano fare, i protagonisti di quelle scenografie di sapore romantico sono, al contrario, figure inquiete e ansiose che dicono che la realtà apparente è solo un’illusione, un artificio da cui fuggire per una realtà più vera. 

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