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LA TRANSIZIONE ENERGETICA SEGNERÀ LA FINE DELLA NOSTRA INDIPENDENZA

 

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LA TRANSIZIONE ENERGETICA SEGNERÀ LA FINE DELLA NOSTRA INDIPENDENZA

di Mario  Travaglini

 In un  momento di rara lucidità l’Unione Europea  ha rinviato a data da destinarsi  il voto previsto per il 7 marzo scorso  sullo stop alle auto a  benzina e diesel a partire dal 2035. Si è trattato verosimilmente  della presa d’atto del fallimento di chi nel Parlamento europeo voleva imporre a colpi di maggioranza il karakiri di un settore industriale di grande rilievo come quello dell’automobile. Questa decisione rappresenta senza dubbio una svolta ed apre ad una discussione più profonda, nel corso della quale occorre ammettere che è  venuto il momento di prendere coscienza  che la transizione in cui l’Europa si è lanciata a corpo morto è forse economicamente assurda e nel contempo suicida dal punto di vista ecologico.

Esaminando la questione dapprima dal punto di vista tecnico, notiamo che il picco delle emissioni di carbonio è stato raggiunto all’inizio del 21° secolo, quando l’Europa ha iniziato a delocalizzare la sua produzione industriale in Cina. La Germania ha poi commesso l’errore di fermare il nucleare e scommettere sul gas, prima di dover giocoforza tornare al carbone per il mutato contesto geopolitico. Il problema più immediato in termini di CO2 non è quindi tanto l’automobile (potrebbe bastare per congelare la situazione attuale, soprattutto alla luce del calo delle vendite di automobili in Europa   già da due anni) quanto il mix di approvvigionamento energetico in Germana ed in Italia.

E’ interessante notare che il capo del BRGM ( Bureau of Geological and Mining Research) , nel corso di una sua audizione, ha spiegato ai nostri legislatori europei un fatto abbastanza ovvio : ci sono sei volte più “metalli” in un veicolo elettrico che in un veicolo termico e serviranno anche sei volte più materie prime per sostituire la “potenza termica” con quella elettrica, generando nei prossimi 15 anni una quantità stratosferica di CO2 essenzialmente da carbone e gas. L’Agenzia Internazionale dell’Energia, intervenendo nel dibattito, ha aggiunto che entro il 2035 sarà necessario: 42 volte più litio (quattro paesi monopolizzano il 95% della produzione, e nessuno è europeo o nordamericano: Cile, Argentina, Cina e Australia); 25 volte più grafite; 21 volte più nichel; 19 volte più cobalto; 3 volte più rame, minerale quest’ultimo assai raro tanto che la quantità che dovrà essere estratta nei prossimi 15 anni sarà pari a quella degli ultimi 25 secoli. Ma il paradosso più eclatante è quello che vede “lo zero CO2” uscire dalla porta per rientrare dalla finestra. Infatti la produzione forzata di veicoli a “zero CO2” comporterà un consumo gigantesco di CO2 per estrarre minerali in quantità astronomiche, raffinarli e poi fonderli per trasformarli in lingotti utilizzabili dall’industria. La maggior parte di questi metalli è attualmente “lavorata” dalla Cina (75% nichel, 80% cobalto e terre rare), il che significa che attualmente siamo più dipendenti dalla Cina che in qualsiasi altro momento della nostra storia industriale. E, ovviamente, ciliegina sulla torta, l’81% della  componente base, ossia le batterie agli ioni di litio, viene assemblato in Cina, che ha, guarda caso,  il monopolio dell’85% sugli anodi e del 71% sui catodi (i poli che generano la corrente in una batteria). Il quadro si completa da solo quando si aggiunge anche il boicottaggio della Russia – grande produttore di nichel, palladio (con il 43% della produzione mondiale), platino (12%, essenziale per le celle a combustibile), grafite e  rame . Tutto questo non fa che rafforzare la nostra dipendenza nei confronti del Regno di Mezzo, a cui poco importa di produrre in un contesto “low carbon” non dovendo rendere conto ad alcuno se la quantità di CO2 emessa continua ad essere largamente superiore alla somma di quella  di Usa ed Europa.  Anche per quanto riguarda i semiconduttori, consumati in grandi quantità per la gestione delle batterie dei veicoli “puliti”, la nostra dipendenza è di entità problematica perché l’80% dei microcontrollori di qualità “standard” sono prodotti prevalentemente in Cina. E dalla Cina arrivano anche gli “strumenti di bordo”, come i quadranti cruscotto, schermate GPS, impianti di riscaldamento e condizionamento, il 90% degli “automatici” come ABS, sbrinamento;  tutti questi componenti non possono funzionare senza terre rare, che noi non abbiamo affatto.

In sintesi, la decarbonizzazione di cui abbiamo fatto il nostro cavallo di battaglia rappresenta la disgregazione della nostra indipendenza energetica, perché saremo succubi di un unico fornitore anziché nei confronti di 40 paesi produttori di petrolio e gas (vedasi gas russo). Ma soprattutto, come già detto poco sopra, saremo vincolati a moltiplicare di sei volte l’estrazione dei metalli  (peraltro in via di esaurimento),  che può portare, in ultima analisi, a emissioni di CO2  superiori a quelle attualmente prodotte dai veicoli termici da sostituire.            Cosa accadrà dunque durante la transizione e, nel frattempo, cosa facciamo?            La risposta obbligata è la seguente: ricicliamo il più possibile e, soprattutto, sfruttiamo massivamente i depositi esistenti. Ma cosi facendo i rendimenti diminuiscono ed aumenta simmetricamente la quantità di carbonio necessaria per produrre il chilo di terre rare o la tonnellata di rame di cui abbiamo bisogno. Il loro prezzo quindi esploderà e renderà il costo di produzione di un veicolo “pulito” eccessivamente alto e quindi inadatto all’acquisto da parte del 50%  (2030) e poi del l’80%  (2035) delle famiglie con i redditi più bassi . Essendo il litio  un valore precursore di tutte le altre materie prime per la costruzione degli autoveicoli è certo che il loro prezzo andrà alle stelle e nel 2035 sarà al punto più alto, come al suo massimo sarà la nostra dipendenza verso la Cina che a tale data si attesterà intorno al 90%. Insomma, è un progetto che ci affrancherebbe da una presunta emergenza per portarci in posizione incaprettata ad una dipendenza dalla quale forse non ci sarà ritorno.

Solo nuovi reattori – e non necessariamente EPR super-potenti – ci impedirebbero di produrre una quantità eccessiva di CO2 per l’energia nei prossimi anni. Per produrre energia “pulita” abbiamo cemento, turbine, grafite e uranio… abbiamo il minimo. Il mix energetico nucleare e idroelettrico per ridurre gradualmente il consumo di carbone è una transizione molto lenta, e sarà ancora più lenta in presenza di una politica dal sonno facile.

 

 

 

 

 

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