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UN PUGNO NELLO STOMACO FA MALE ?

Editoriale / 82

UN PUGNO NELLO STOMACO FA MALE ?

di Pierluigi Palmieri

Il vostro chiasso aumenta a mo’ di un  crescendo rossiniano “. Non ci eravamo accorti che durante la “ricreazione” il professore di Economia era entrato in classe peer andare a prendere posto sulla cattedra. Il nostro “crescendo” però non ci aveva impedito di sentire il richiamo fatto con la consueta pacatezza  da uno degli insegnanti da noi più apprezzati, che per fortuna fu assegnato alla nostra 5 B proprio nell’anno degli esami di Stato. Seguì il silenzio assoluto interrotto solo dalla voce del professor Vian che iniziava l’appello,  Dopo qualche tempo scoprimmo essere uno degli economisti più apprezzati del tempo che era stato per diversi anni “rubato” alla scuola per lavorare nelle commissioni della Comunità Europea. Sì rubato! Perché la scuola ha sempre avuto bisogno di persone come lui, competenti e disponibili al dialogo, mai fuori dalle righe e al momento opportuno divertente, padroni della materia e alla ricerca continua dell’empatia con chi li sta ascoltando. Di professori come Vian ne ho incontrati ben pochi nel percorso che ho scelto di intraprendere subito dopo la maturità provando a difendere, da sindacalista e formatore, la dignità della scuola nella sua interezza. Quella Scuola che va intesa come comunità di docenti e alunni, ma anche di dirigenti e collaboratori ovviamente, un luogo in cui la famiglia dovrebbe assumere il ruolo di catalizzatore per aprire la strada dell’autonomia, ell’autodeterminazione e dell’autocontrollo. Nel mettere in corsivo questi “auto” il pensiero mi è andato a quel “aiutami a fare da solo”, che la Montessori mette in bocca al bambino che ha fame di apprendere, ma è anche un monito per l’insegnante a non sovrastarlo, bensì a creare le condizioni per stimolare il suo  spirito d’iniziativa. L’invocazione che il bambino rivolge al maestro è la stessa per gli studenti di tutte le età, soprattutto di quelli  che attraversano il delicatissimo periodo  dell’adolescenza, ma è presente e deve essere addirittura un imperativo per chi deve “aiutare” coloro he al termine del percorso universitario saranno chiamati  a svolgere una professione. Vale per il medico chirurgo, che per l’asportazione di un appendice dovrà saper usare il bisturi con precisione; vale per l’ingegnere che dovrà calcolare in maniera esatta la tenuta di un ponte;  vale per l’avvocato che dovrà individuare la norma del codice più adatta a sostenere una causa in punto di diritto. Vale in maniera imprescindibile per l’insegnante che non usa il bisturi, non fa calcoli di cemento armato e neanche usa il codice  di procedura civile, ma, non solo  metaforicamente, è allo stesso tempo, ingegnere medico e avvocato perché deve saper progettare, difendere e curare. Gli è affidato un essere umano,  del quale deve saper ottenere rispetto, con l’autorevolezza di chi “possiede” la materia che insegna e contemporaneamente anche la capacità di cogliere i segnali di aiuto, che molto spesso riguardano aspetti che esulano dal campo dell’apprendimento disciplinare puro e semplice. Sulla cattedra deve salire una persona che rispetta le persone, che assume l’ascolto a principio e lo postula come essenziale per trasformare le sue conoscenze  in competenze dei suoi allievi.

Allevare, coltivare sono termini mutuati dal mondo contadino che contengono principi essenziali, quali il rispetto dei modi e dei tempi, per la crescita di ogni specie di piante e di animali. Mentre in questo campo la standardizzazione del sistema è pressoché  obbligata, a scuola è assolutamente da evitare, perché senza l’humus dell’umanità si rischia di sconfinare nell’aridità  dell’ambiente e nell’indifferenza degli studenti. Senza l’ascolto, questi si trasformano da protagonisti in comparse, e quando decidono di tornare protagonisti lo fanno su una scena del tutto estranea al mondo dell’educazione: sconfinano nella provocazione, nell’irrisione dell’autorità costituita e perfino nella violenza non asolo verbale, fino autolesionismo, che è il prodotto della sordità verso la montessoriana invocazione all’aiuto. “I professori non chiedevano mai se eravamo felici/ Silvia tu ridevi e scherzavi/ Luca invece non parlava mai”. fotografa una situazione giovanile pressoché  disastrosa, dove tanti Luca entravano nel tunnel della droga e amori e amicizie non bastavano per “aiutare” a riportarli  fuori. “Silvia lo sai che Luca si buca ancora” è il triste epilogo della storia raccontata nel 1987 da Luca Carboni e  Angelo Testi nella canzone che porta proprio quel titolo.  Non solo droga oggi per chi non viene ascoltato dai professori. In Toscana, l’aula di un istituto superiore si è trasformata in set per le riprese di  un  video da diffondere sui social,   con tanto di copione, regia e cameramen. Attore protagonista: un alunno quattordicenne; figurante: un.. professore!. Il ragazzo si avvicina alla cattedra, si pone alle spalle il docente (che continua a guardare lo schermo del suo computer), ed inizia a sbeffeggiarlo nella soddisfazione generale della “platea” e rivolto alla telecamera con due dita disegna la  “V” che significa missione compiuta. Ma c’è un finale non previsto dal copione: d’improvviso l’insegnante si volta e colpisce l’alunno con un pugno nello stomaco e mentre le  riprese continuano si alza e quasi a sfidarle dice all’alunno “Adesso cosa fai”. La posizione non è quella di guardia del pugilato ma sembra quasi voler evocare Cassius Clay, che di fronte all’avversario aveva l’abitudine di tenere le braccia basse trotterellando in segno di sfida. Ma non siamo al Medison Square Garden di New York, bensì nell’aula di una scuola di Pontedera. Il pugno dello stomaco deve aver fatto male all’audace studente. Ha fatto ancora più male alla scuola. Ma, parafrasando un noto principio della comunicazione pubblicitaria secondo il quale per essere efficace un manifesto dovrebbe avere  l’effetto proprio di.. “un pugno nello stomaco”, il filmato (nato dalla voglia di  mostrare sui social il “coraggio dell’irrisione”, in un ambiente destinato a ben altre e più alte finalità) ha avuto l’effetto di sollevare ancora una volta e forse in maniera più efficace il problema fondamentale del nostro mondo dell’istruzione:   la  selezione in base alle attitudini, la formazione universitaria su basi serie ed il reclutamento di docenti  che assumano a modello l’autorevolezza del Professor Vian, al quale nessuno si sarebbe mai azzardato a non portare rispetto. Con buona pace d Rossini.

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