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NESSUN IMPERO DEL MONDO VALE LE LACRIME DI UN BAMBINO

Il Limite/ 48

Nessun impero del mondo vale le lacrime di un bambino

 

 di Raniero Regni

……dobbiamo disarmare l’essere umano nella sua smania illimitata e insensata per il potere altrimenti saremo tutti perduti in una demenziale politica di potenza che alla fine non avrà vincitori……

 

L’autore di questa rubrica è un pedagogista, questo non vuol dire che chi scrive sia un idealista, nel senso di un povero illuso che ignora il male e la durezza del mondo o i tempi di ferro che ci attendono. Ma chi, per studio e professione, si occupa del meglio dell’umanità, ovvero i bambini, nutre una visione diversa del mondo ed è forse sorretto da una speranza più forte. Come tutti gli esseri umani miei contemporanei non sono che una goccia d’acqua nell’oceano del XXI secolo. E che cosa ne sa una goccia d’acqua dell’immenso mare? Anche se fossi una goccia pensante non potrei comunque confrontarmi con l’immensa complessità del mondo contemporaneo e dei suoi problemi. Ma la prospettiva pedagogica mi fa guardare alla terribile guerra in Ucraina da una visuale un po’ diversa.

Ripartiamo da Adamo ed Eva, ripartiamo dalla struttura antropologica. L’essere umano è un essere biologicamente molto indifeso, la scimmia nuda non ha dotazioni che lo rendono potente rispetto alla pressione ambientale. Escluso il suo cervello, egli non ha strumenti innati paragonabili a quelli in possesso di molti altri animali. Lo notava il grande etologo K. Lorenz, gli animali più sono potenti, più possiedono armi innate offensive letali, come unghie o veleni, potenti, maggiori sono i feedback negativi che frenano la letalità delle loro armi. Ad esempio, in un combattimento rituale tra cospecifici, uno dei contendenti si sottomette e non viene ucciso. La ritualizzazione e i segnali di sottomissione innescano i feedback negativi, ovvero i freni che inibiscono la capacitò distruttiva di annientare i nemici. Noi, come animali tutto sommato deboli, che si sono dovuti difendere sempre da una natura più forte di loro, non abbiamo avuto la necessita di sviluppare freni che limitino i nostri poteri che, all’inizio e per un lunghissimo tratto di tempo della nostra evoluzione, erano molto deboli.

Oggi la situazione è completamente cambiata. Non siamo noi che ci dobbiamo difendere dalla natura ma sembra quasi che la natura si debba difendere da noi. Siamo diventati dei super predatori che stanno in cima alla catena alimentare del pianeta e rischiano di divorare e distruggere il mondo con il loro sviluppo illimitato.

Stessa cosa vale per il potere, quella tentazione continua a cui gli esseri umani sono esposti nella loro avventura storica. Il nostro desiderio illimitato di potere non è mai sazio. La sua illimitatezza non trova un freno interno, di tipo innato, se non nella ragione, nella capacità di vedere le conseguenze a lunga scadenza delle nostre azioni. Ma anche questo trova oggi un limite, ovvero un punto cieco, indicato dal grande e poco valorizzato filosofo G. Anders (in libro del 1956, L’uomo è antiquato) che  osservava come “la nostra capacità di fare è enormemente superiore alla nostra capacità di prevedere gli effetti del nostro fare”.

Oggi ogni politica di potenza appare demenziale perché non vede le conseguenze delle proprie azioni. L’economia, come abbiamo scritto più volte, è miope e quasi cieca, vede e persegue solo l’interesse immediato. La politica, che dovrebbe essere più lungimirante, le è invece sottomessa e condivide la stessa “cortomiranza”.  Il realismo militare degli strateghi appare ancor più folle e distruttivo. Si costruiscono arsenali per difendere la libertà, ma le armi accumulate prima o poi verranno usate. Si concepisce la potenza distruttiva come deterrenza e la storia sembra avere dato ragione all’equilibrio del terrore. Ma la guerra in Ucraina ci dimostra ancora una volta che una guerra, qualsiasi guerra può avere conseguenze imprevedibile, può metterci tutti su di in un piano inclinato da cui non possiamo più tornare indietro. È già successo e noi non solo non riusciamo a prevedere le conseguenze delle nostre azioni, ma non impariamo neanche dagli errori del nostro passato.

E qui mi riprendo la mia prospettiva pedagogica. Come osservava profeticamente e saggiamente M. Montessori, la politica può al massimo evitare la guerra, solo l’educazione può costruire la pace. La politica, neanche questa volta è riuscita ad evitare la guerra. Siamo di nuovo con la guerra alle porte. E lo sappiamo, la prima vittima della guerra è la verità, e le menzogne che si susseguono da una parte e dall’altra, dei due schieramenti combattenti o non combattenti, lo dimostrano. Ma seconda vittima sono sempre i bambini. Questi sono i più deboli ma la loro infanzia, segnata dalla guerra, potrebbe riprodurre la guerra, quando saranno diventati a loro volta adulti. In una catena intergenerazionale del male. Bisogna interromperla perché nessun impero vale le lacrime di un bambino, come ha scritto Dostoevskij. Nessun impero, neanche quello più giusto può pagare questo prezzo, perché sulle lacrime non si edifica niente di buono. Bisogna fare la pace e fare la pace con i bambini. Dobbiamo esporli alla bellezza, al bene, alla giustizia, al meglio delle creazioni umane e naturali perché diventino esseri umani migliori di noi. E ciò non si può fare sotto la protettiva minaccia delle armi né tantomeno sotto i bombardamenti.

Sono davvero stanco di tutti i realisti che condividono cinicamente l’opinione di Hegel secondo il quale la storia è un banco di macellaio che gronda sangue, dove non c’è posto per le anime belle dallo stomaco debole. Ogni politica di potenza ci porta alla distruzione, dobbiamo limitare gli armamenti dobbiamo, anche qui come per i rifiuti, progressivamente ridurli, riconvertirli.

Dobbiamo ridurre ed eliminare la competizione anche nell’educazione, lasciandola solo nello sport dove, alla fine della gara, si ritrova sempre l’amico nell’avversario. Dobbiamo soprattutto disarmare l’essere umano nella sua smania illimitata e insensata per il potere altrimenti saremo tutti perduti in una demenziale politica di potenza che alla fine non avrà vincitori.

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