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RAGIONEVOLEZZA, PRUDENZA, SAGGEZZA VS RAZIONALITA’ STRUMENTALE

Il Limite / 43

Ragionevolezza, prudenza, saggezza VS razionalità strumentale

di Raniero Regni

“….Se pensare è solo calcolare, il problema del senso e dello scopo non si pone. Il calcolo è indifferente all’umano e si può contabilizzare l’economia dello sterminio come qualsiasi altra forma di economia….”

La società irrazionale, così inizia il Rapporto Censis 2021.  “Accanto alla maggioranza ragionevole e saggia si leva un’onda di irrazionalità. È un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà…Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici”. Questa ed altre percentuali mostrano una vera e propria crisi della ragione. E ancora, “si osserva una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste”. Secondo il Censis, “ciò dipende dal fatto che siamo entrati nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali…La fuga nell’irrazionale è l’esito di aspettative soggettive insoddisfatte, pur essendo legittime in quanto alimentate dalle stesse promesse razionali”.  Non entro minimamente nel dibattitto aspro che questi temi suscitano, ma ho il sospetto che questi stessi dati possano essere interpretati diversamente, come una risposta irrazionale alle promesse irrazionali della razionalità scientifica, soprattutto tecnico-economica. 

La vera scienza è modesta. Il pensiero scientifico sa benissimo che la verità è ricerca e non possesso, che quello che chiamiamo verità è la menzogna più recente. Sa molto bene che non può affermare con certezza che “tutti i cigni sono bianchi”, ma che invece può affermare con certezza che non tutti i cigni sono bianchi quando ne compare uno nero, ovvero: possiamo essere certi soltanto dei nostri errori. Questa scienza è cosa diversa dalla fede nella scienza che la trasforma in una religione che si chiama scientismo, un’ideologia nei confronti della quale è più che le legittimo il sospetto che questo genere di razionalità non potrà mantenere le sue promesse illusorie. Quello che il Censis chiama irrazionalità è forse il sintomo patologico di una ribellione nei confronti di una razionalità tecnico-scientifico-economica che, perdendo ogni senso del limite e della misura, dell’umano e del naturale, rischia di mandarci a sbattere contro la crisi ecologica. Non ci sono e non ci saranno vaccini contro tutti i virus, né tantomeno ci sono vaccini contro il cambiamento climatico. 

È necessario allora ritrovare la distinzione tra razionalità assoluta e saggezza, razionalità tecnico-strumentale e ragionevolezza. I Greci la chiamavano Phronesis, la prudenza. Quella contenuta nel principio di precauzione, quella che sa che infinita è soltanto la nostra ignoranza per cui si cerca di fare il meno male possibile. Alla luce della prudenza e del senso della misura la razionalità che vuole lo sviluppo illimitato e a tutti i costi appare irrazionale. Una promessa che, non solo non potrà essere mantenuta, ma che addirittura ci esporrà alla autodistruzione, compresa la distruzione della stessa ragione. Su questo hanno scritto pagine molto belle e sagge autori come C. Lasch e S. Latouche, che però trovano in M. Heidegger un precursore. Il filosofo tedesco è stato uno dei pensatori che più chiaramente ha posto il problema della tecnica nel mondo contemporaneo. La tecnica è l’ultimo ritrovato della metafisica dell’Occidente che, obliando l’Essere, si impone come padrona delle cose e della Terra. Scrive Heidegger, una frase che U. Galimberti ricorda spesso nei suoi interventi, “ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica. Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo. Di gran lunga più inquietante è che non siamo ancora capaci di raggiungere, attraverso un pensiero meditante, un confronto adeguato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca”. Heidegger, nonostante la sua iniziale adesione al Nazismo, mai rinnegata, aveva colto che lo stesso Olocausto non era nient’altro che la manifestazione più disumana del mondo della tecnica che, nella fabbrica della morte in serie, mostrava tutta la sua disumana potenza nichilistica, trasformando le persone in cose e risorse. Se pensare è solo calcolare, il problema del senso e dello scopo non si pone. Il calcolo è indifferente all’umano e si può contabilizzare l’economia dello sterminio come qualsiasi altra forma di economia. 

Lo sviluppo razionale, della razionalità economica e tecnologica (minimo sforzo massimo risultato nel minor tempo, ovvero l’ottenere il raggiungere il massimo degli scopi con il minimo dei mezzi ed il più in fretta possibile). Lo sviluppo economico e tecnologico illimitato, non sono ragionevoli, ma essi, nel loro nichilismo, se ne infischiano. Si avvita su se stesso fino a perdere ogni contatto con la realtà, quella realtà che si era vantato di poter controllare. Ecco perché le persone non si fidano più delle sue promesse. La nostra è la società dell’insicurezza, il pericolo si avvicina, lo avvertiamo nel cibo che mangiamo e nell’aria che respiriamo. Il possibile naufragio del pianeta non è la conseguenza dell’ingegnosità umana ma di azioni che sfidano qualsiasi prudenza. La padronanza totale si trasforma nel suo contrario, nell’impotenza e nella disperazione, nel diventare vittime di un ambiente fuori controllo, di una natura impazzita e imprevedibile, con una pandemia che segue ad un’altra. 

Se sono riuscito a farmi seguire sin qui (ma ne dubito!) dal lettore benevolo e paziente, propongo un’improvvisa torsione al mio discorso. Intervistato da Gitta Sereny nel 1971 (si tratta del libro In quelle tenebre), Franz Stangl, direttore del campo di sterminio di Treblinka, alla domanda su che cosa provasse nei confronti del suo “impiego”, rispondeva sempre “niente” oppure “non so”. Lui non aveva tempo e modo di provare niente, aveva del lavoro da fare. Ogni poche ore arrivava un convoglio di deportati e dopo un certo numero di ore dovevano essere morti, perché ne sarebbe arrivato presto un altro. Il criminale nazista aveva un problema tecnico-economico, nessun problema di senso, nessun impaccio morale, pur sapendo benissimo quale fosse il destino di quelle persone, che evitava accuratamente di definire tali. Queste erano numeri, quantità: pensare è uguale a calcolare! Questo accade alla ragione quando non è sottoposta al controllo della saggezza e della prudenza, nonché della morale. Questo accade alla ragione quando nega i suoi limiti.  

È appena trascorso il “Giorno della memoria”. Scopo dell’educazione, anche scolastica, non è innanzitutto istruire e addestrare alla razionalità strumentale ma, anche attraverso la pur necessaria istruzione, essa deve innanzitutto educare. L’educazione deve renderci più umani, più empatici, più capaci di solidarietà e fratellanza. Anniek Cojean, preside di un liceo americano, aveva l’abitudine di scrivere, ad ogni inizio di anno scolastico, una lettera ai suoi insegnanti. Una lettera che divenne viralmente famosa qualche anno fa ma che poi, altrettanto velocemente, la fabbrica dell’amnesia mediatica ha fatto finire nel dimenticatoio. Così scriveva il preside americano, “Caro professore, sono un sopravvissuto di un campo di concentramento. I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano dovrebbe mai vedere: camere a gas costruite da ingegneri istruiti; bambini uccisi con veleno da medici ben formati; lattanti uccisi da infermiere provette; donne e bambini uccisi e bruciati da diplomati di scuole superiore e università. Diffido – quindi – dell’educazione. La mia richiesta è: aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti. La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani”.

 

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