HomeLa RivistaARRIVA IL GIRO! : QUATTRO MOSCHETTIERI DELLA BICI FECERO SOGNARE LA MARSICA

ARRIVA IL GIRO! : QUATTRO MOSCHETTIERI DELLA BICI FECERO SOGNARE LA MARSICA

Sport / 155 

di Eliseo palmieri

 Il ciclismo ad Avezzano ha una tradizione antica, consolidata negli anni, ma il vero feeling è maturato nel 1913, con la disputa del Primo Circuito del Fucino, a cui presero parte i migliori campioni dell’epoca: Enzo Corlaita il vincitore, Dario Beni, Alfonso Calzolari, Bartolomeo Aymo e Alfredo Sivocci (che fu il primo direttore sportivo di Vito Taccone all’Atala). Vi parteciparono – con onore – gli avezzanesi Vittorio Lombardi – Cerri,  Antonio D’Amore e i fratelli Perrotta e altri cinquanta corridori provenienti dal centro-sud.

Il terremoto del 1915,  la Prima Guerra Mondiale e anche la Seconda Guerra Mondiale, costrinsero i giovani, di quelle generazioni, a dedicarsi alla ricostruzione e al rilancio economico e sociale della città e di conseguenza lo sport, in generale, passò inevitabilmente in secondo piano.

La febbre del ciclismo contagiò la Marsica negli anni 1950 e 1960, soprattutto grazie alle mitiche imprese di Coppi e Bartali. Prima dell’avvento di Vito Taccone, a mettersi in evidenza ad alti livelli, fu Enrico Eboli, detto “Righetto”, che da professionista partecipò al Giro d’Italia del 1929, in cui si classificò al 35° posto, su 166 concorrenti, ottenendo lusinghieri piazzamenti di tappa. In seguito, in qualità di direttore tecnico, delle società Fiamma e Asa Avezzano, scoprì e lanciò, alcuni giovani ciclisti promettenti: Vito Taccone, Vincenzo Meco, Giovanni Cordovani e Sandro Cervellini. In verità prima dei  “Quattro Moschettieri”, che poi si fecero strada nel professionismo, aveva diretto e lanciato tra i dilettanti, Giorgio Jenca, che in una sola stagione inanellò ben tredici successi, partecipando a gare di livello nazionale. Jenca preferì la professione di medico a quella di corridore, ma sicuramente fece da “apripista” a coloro che in quel periodo seguirono le sue orme, scegliendo il ciclismo come lavoro.

Nel 1961, dopo una eccellente militanza nelle categorie giovanili e dilettanti, Taccone e Cordovani furono ingaggiati dall’Atala, Meco dalla San Pellegrino e Sandro Cervellini dalla Legnano.

La carriera professionistica di Cordovani e Cervellini  non ha avuto grandi sussulti: una vita da “gregari”, agli ordini dei “capitani” delle loro squadre di appartenenza, alcune partecipazioni al Giro d’Italia, una volta a testa al Tour de France, e qualche corsa in linea. Tutto qui.

Vincenzo Meco, invece, salì agli onori della cronaca nel Giro d’Italia del 1962, prima vestendo la maglia rosa nella tappa di Fiuggi e eppoi per l’impresa vittoriosa sul Passo Rolle, dopo una fuga solitaria e sotto una bufera di neve, che causò il ritiro di 56 corridori, distaccando di 3 minuti e mezzo gli inseguitori . Partecipò, senza gloria, ad altri Giri d’Italia e ad una Vuelta spagnola, ottenne qualche lusinghiero piazzamento in alcune “classiche” per poi trasferirsi nel 1967 a Montreal in Canada.

Chi invece divenne un grande campione di livello internazionale fu Vito Taccone, soprannominato il Camoscio d’Abruzzo. Le sue imprese come scalatore al Giro d’Italia e al Tour de France hanno infiammato i cuori degli appassionati di ciclismo non solo in Italia ma anche all’estero. La sua natura di irriducibile combattente, la sua indole sanguigna, la sua sincerità e schiettezza nelle interviste ai giornali e alle televisioni, in modo particolare al “Processo alla tappa” con Sergio Zavoli, hanno fatto scoprire gli aspetti nascosti di un mondo già incline alle alleanze tra le squadre più potenti, che spesso riuscivano a monopolizzare titoli e premi.

AVEZZANO- Piazza Cavour – La statua in Bronzo Che raffigura Vito Taccone in arrampicata, addobbata con la Mascotte Bartolomeo n occasione del passaggio del Giro d’Italia 2024

Ha vinto tanto Taccone e ha fatto conoscere al mondo Avezzano e l’Abruzzo. Numerose le vittorie di tappa al Giro, per un giorno ha anche vestito la maglia rosa, vincitore di Gran premi della montagna, nel 1962 si è classificato 4° al Giro e diverse volte ha indossato la maglia azzurra ai campionati mondiali; ha vinto i Giri di Lombardia, Piemonte, Puglia, Calabria, ma leggendari sono diventati gli innumerevoli secondi posti, che a volte hanno fatto discutere.

La presenza ad Avezzano della partenza della 9^ tappa del Giro d’Italia, non ci poteva esimere dal ricordare questi “Quattro Moschettieri” del ciclismo italiano, cresciuti tra le montagne della Marsica e trascinati nel mondo professionistico delle due ruote da Vito Taccone, novello D’Aartagnan, ineguagliabile campione che non sarà mai dimenticato.

E’ doveroso però sottolineare che un altro ciclista marsicano, assurto alle cronache nazionali e internazionali, ma tra i dilettanti, è stato Vittorio Marcelli. Nato a Magliano dei Marsi nel 1944, Marcelli sin da giovanissimo si fece notare come uno dei potenziali astri nascenti del ciclismo italiano ed entrò nel giro delle squadre dilettantistiche italiane, costruite per  ottenere grandi risultati ai Mondiali e alle Olimpiadi.

Fisico possente, conseguì risultati di prestigio, facendo valere le sue doti di passista e cronoman: fu campione del Mondo in linea nel 1968 a Montevideo (Uruguay); medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo; con il “quartetto”  azzurro della cronosquadre fu due volte medaglia di bronzo ai Mondiali dilettanti nel 1967 e nel 1968 e nella stessa specialità fu bronzo alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968.

In totale, in carriera, ha ottenuto 71 successi.

Passato professionista nel 1969, con la Sanson eppoi con la Salvarani, non colse risultati soddisfacenti, sia perché reduce da una intensa e dispendiosa attività dilettantistica, sia perchè accusò gravi problemi alle ginocchia, che lo costrinsero ad un prematuro ritiro dalle corse nel 1970.

 

 

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