Editoriale / 90
Tra ‘800 e ‘900, un prosciugamento e un terremoto che hanno cambiato la storia della MARSICA
di Pierluigi Palmieri
La storia prima che sia scritta e ancora prima che avvenga è già scritta nel cuore degli uomini, nei loro sentimenti, nelle loro intelligenze, nelle segrete consapevolezze delle generazioni ed infatti governa e governa bene chi, sia pure per breve tratto di tempo, riesce a decifrare tali segni, quasi come leggere un libro che è già scritto ma ancora deve essere stampatoUgo Pesce |
“Ogn’anno, puntualmente, in questo giorno, di questa triste e mesta ricorrenza…!
Viene facile parafrasare il principe De Curtis, per far riferimento al terremoto che il 13 gennaio 1915 sconvolse la Marsica e rase letteralmente al suolo la città di Avezzano, seppellendo sotto le macerie migliaia di persone senza fare alcuna distinzione tra ricchi e poveri, nobili e umili lavoratori. Tra le 30.000 vittime se ne contarono 10.000 nel solo capoluogo. Tremila i sopravvissuti e una sola abitazione risparmiata (“Unica casa che ha resistito al terremoto” recita tristemente una lapide sulle mura dell’immobile di proprietà della famiglia Palazzi situato nella centrale Via Garibaldi). La premessa è legata alla volontà di dare in modo sistematico spazio su questa Rivista alla particolarissima storia della sub-regione abruzzese che contiene elementi di valenza tale da poter costituire riferimento emblematico, per la complessità dei problemi ed efficacia delle soluzioni, al più generale sistema economico e sociale del Paese e, perché no?, dell’Europa. Una storia che affonda le radici nel paleolitico, ma che in questa sede affronteremo in ragione dei due eventi che l’hanno cambiata in maniera radicale: l terremoto appunto e il prosciugamento del Lago Fucino.
Qualche decennio prima del terremoto il Principe Alessandro Torlonia era riuscito a portare a compimento il prosciugamento e la bonifica del Lago del Fucino (1978). L’impresa voluta dagli imperatori romani, ad iniziare da Giulio Cesare e tentata da Claudio impiegando oltre trentamila uomini, in buona parte schiavi, che impegnati in turni massacranti (rif. Svetonio: trigenta hominum millibus, sine intermissione operantibus). Dopo undici anni (52 d.C.) sembrava che l’opera avesse dato i suoi frutti, ma, a tre anni di distanza l’inghiottitoio smise di funzionare e le acque del lago tornarono ad inondare periodicamente i paesi rivieraschi come pure nei periodi di magra ad assumere un aspetto paludoso. Mancò l’esecuzione “a regola d’arte” attribuita da alcuni alle ruberie di Narciso e Pallante, rispettivamente segretario e tesoriere dell’imperatore (v. Leon de Rottou, 1871). Più duraturi ma non risolutivi, gli effetti degli interventi voluti da Traiano e Adriano, da altri sovrani poi ed infine da Federico II di Borbone, che dopo un tentativo di espurgo tra il 1826 e il 1835, pensò a una società in grado di arrivare ad una soluzione radicale, fissando il termine perentorio di un anno per la sua costituzione. Alessandro Torlonia, allora “solo” ricco banchiere intuì il risvolto economico (le terre sarebbero rimaste di proprietà del concessionario) ed il prestigio che gli sarebbe derivato dall’impresa che tanti potenti, per secoli, non erano riusciti a portare a compimento in maniera efficace.
Nelle aspettative dei Marsi che si erano rivolti al Borbone per eliminare i disagi legati ai “capricci” del Lago, c’era l’acquisizione di migliori condizioni di vita e di una tranquillità economica e senza dubbio quell’impresa aveva dato nuovo impulso all’economia della Marsica, i cui frutti però si sbilanciarono in maniera spropositata dalla parte del Principe, Il sistema messo in campo per la distribuzione delle terre emerse dallo svuotamento del bacino del terzo lago d’Italia per estensione, assunse il carattere del neo-feudalesimo, con una differenza solo terminologica tra vassallini e braccianti. La forza lavoro che dopo la “bonifica Torlonia” si era unita agli autoctoni fucensi . era costituita in gran parte da coloni “specializzati”, provenienti in gran parte dalla Romagna, dalle Marche e dalla provincia di Teramo. Il gap tra questi mezzadri (vassalli) /o affittuari e i braccianti assunse proporzioni macroscopiche, il cui retaggio, in epoche più recenti ebbe sbocchi anche drammatici.
Ad appianare tutto come “ ‘A Livella” dell’altro Principe (quello della risata) sembrava fosse arrivata la furia distruttiva del mostro sismico che aveva seminato la morte ovunque. La necessità di unire le forze per la ricostruzione tra le comuni difficoltà avrebbe dovuto contribuire a ridurre le distanze tra vassalli e valvassini, ma, come vedremo nei prossimi articoli, non se ne riscontrarono tracce fino alla riforma fondiaria, che, includendo il Fucino tra i territori di applicazione della legge stralcio, fece nascere la figura degli agricoltori diretti. Ma in occasione delle celebrazioni per il centenario del prosciugamento l’allora presidente dell’Ente Regionale di Sviluppo Agricolo (Ersa), volle mettere in guardia sul rischio che su molti dei nuovi piccoli coltivatori potesse incombere la figura del contadino commerciante, novello mezzadro, “affittuario di colture e non tanto di terreni” con il quale potrebbe rinascere dalle sue ceneri l’antico dualismo.
“Come “ogn’anno”, il 13 gennaio 2023, la Marsica ha ricordato con manifestazioni semplici ma sentite le vittime del terremoto e i loro discendenti si sono uniti in un ideale commosso abbraccio. Una giornata di commemorazione che avrà una coda nella apprezzata iniziativa di chiamare Paolo Mieli a parlare e a diffondere il messaggio e il senso profondo della Storia.. E noi avviamo un percorso di diffusione del messaggio che a partire da quel cruciale periodo 1878 e 1915, ha cambiato quella del nostro territorio, che tanto ha pagato in termini di vite umane per il concomitante ingresso in guerra dell’Italia nel conflitto mondiale del 1915-18.
Lasciando da parte l’aspetto economico, sappiamo che le generazioni più recenti propendono alla totale integrazione e manifestano con orgoglio la loro “marsicanità”. Sulla storia del prosciugamento del Lago è stato scritto tanto, c’è tanto da leggere.
Noi desideriamo vivamente che un altro Ignazio Silone non arrivi a scrivere che::
“…In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe di Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito.”