HomeLa RivistaAttualità e AmarcordUNA VOLTA UN “PERICOLOSO RAPINATOR OMICIDA” MI PUNTO LA PISTOLA E PENSAI DI MORIRE Copia

UNA VOLTA UN “PERICOLOSO RAPINATOR OMICIDA” MI PUNTO LA PISTOLA E PENSAI DI MORIRE Copia

 

Amarcord  / 97

di Marcello Martelli

A lungo cronista di cronaca nera, ho raccontato tanti fatti di sangue, quando non c’erano i salotti tv che quotidianamente, a reti riunite, dànno spazio (anche troppo!) a delitti e assassini di ogni tipo. A quei tempi, erano i giornali stampati ad avere il monopolio dell’informazione.

Ricordo la prima lezione del mio caporedattore quando mi spiegò come essere un buon cronista. Semplice: essere sempre curioso per cercare le notizie, applicando la regola “dell’uomo che morde il cane”. Naturalmente, la precedenza era per la cronaca “nera”, che allora, prima dello sport e di tutto il resto, aveva il posto d’onore in ogni giornale. Non solo. La cronaca di un fatto di sangue completa e ben scritta non valeva niente, senza un ampio corredo fotografico, con le figure dei protagonisti ben evidenziate. Devo dire che ero diventato abbastanza bravo se, dopo “Il Tempo” di Roma, grande quotidiano a larga diffusione anche in Abruzzo, fui ingaggiato persino da “Crimen” (poi “Detective”), settimanale specializzato in fattacci di sangue, che andava a ruba in tutte le edicole italiane. Ero entrato nelle simpatie della esigente direttrice, che mi raddoppiava il lauto compenso ogni volta che il servizio risultava corredato di ottime foto con le facce degli assassini e delle vittime in primo piano. Ingredienti che, in assenza dei salotti televisivi sempre aperti di oggi, moltiplicavano le vendite dei giornalai, a cominciare dagli “strilloni”, ora scomparsi, che giravano per le strade.

La vita del cronista di nera era sempre molto movimentata e, spesso, esponeva a rischi e pericoli, anche se -preso dall’entusiasmo per il mestieraccio-personalmente non me ne rendevo conto. Potrei raccontare tante esperienze vissute sul campo, anche drammatiche, come quella volta che pensai, per alcuni lunghissimi attimi, di finire i miei giorni crivellato dai colpi di pistola d’un pericoloso bandito braccato dalla polizia e fuggito da Roma, dopo una sanguinosa rapina al Monte dei Pegni, dove un passante era rimasto ucciso.

Inseguito da carabinieri e polizia, il giovane assassino cercò rifugio in Abruzzo, nella casa di campagna della vecchia nonna. Fui spedito sul posto dal mio giornale e arrivai proprio quando gli uomini delle forze dell’odine stavano circondando l’abitazione. Poco prima, sulla piazzetta del paese, il parroco mi aveva descritto il pericoloso parrocchiano: “Alto, con i baffetti…Attenzione, è capace di tutto…”. Ma ecco che all’improvviso, dietro l’ultima curva della stradina di campagna, bloccò la mia auto un giovane alto con i baffetti e in pugno una pistola inequivocabilmente puntata verso di me…Frenai bruscamente con il cuore in gola. Girai lentamente lo sguardo dalla parte destra dell’auto, dov’era seduto il sacerdote che mi accompagnava. Notai con sorpresa che il mio accompagnatore stava fuggendo laggiù, a gambe levate, verso la vallata, dopo aver lasciato lo sportello spalancato.

Per me era la conferma indiretta della fine imminente. Infatti, l’uomo con la pistola e i baffetti si avvicinava sempre di più, minaccioso. “Alt! -mi disse con voce ferma Fuori i documenti…”. Non era il bandito, per fortuna, ma un carabiniere in borghese. E, dopo quei lunghissimi attimi di terrore, tornai ad apprezzare la vita.

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