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Violenze in famiglia: rompiamo il silenzio?

Qualche anno fa è stato presentato un progetto, realizzato dalla divisione di neurochirurgia infantile dell’ospedale “Bambin Gesù”,finalizzato a offrire un aiuto concreto ai bambini testimoni di violenza e una risposta ai professionisti,agli insegnanti, agli operatori del territorio,ai pediatri e alle famiglie in disagio. E subito ho pensato alla piccola Monica. Ha la cameretta piena di giocattoli,i  vestitini in fine “moda baby”,lo zainetto firmato per la scuola,ma,in classe,non ci va volentieri. Fatica a socializzare e non mangia. Tutto la spaventa,anche una sciocchezza. Spesso trema e si copre le orecchie come non volesse ascoltare. Come fa quando suo padre,ubriaco,urla e picchia la madre. Lei si nasconde sotto il tavolo.

Poi ho pensato a Francesca. Ha 13 anni,una bella casa,il computer,il telefonino,tre televisori,il lettore dvd. Ma,da quando sua madre se n’è andata di casa,dopo l’ennesima lite,lei è piombata nel tunnel della depressione. Dentro qualcosa si è spezzato:è passiva,disinteressata,guarda le cose senza vederle. Infine,c’è Hassan,un ragazzo timido e insicuro. Vive con la nonna,che lo ha sottratto,come ha potuto,alle botte che,fin da piccolo,gli davano entrambi i genitori. Ora ha 15 anni ma niente sogni,niente speranze. Se gli si chiede che cosa vuole fare da grande,lui prima dice nulla,poi che gli piacerebbe vivere tutti insieme. Gli manca la gioia di esistere. Dietro questi nomi di fantasia,per garantire la privacy ai veri protagonisti delle situazioni riportate,vedo tanti altri volti:di bambini,di adolescenti,il cui sviluppo psicologico e affettivo è danneggiato,a volte irrimediabilmente,proprio per il fatto di vivere in ambienti dove si scatenano forme di violenza fisica o psicologica,dove ci sono separazioni conflittuali e difficili. Sentiamo ripetere che “..le famiglie non vanno lasciate sole!!”. Ma l’interrogativo continua a ruotare nel cervello: chi deve aiutarle? E come? E’ dimostrato che i bambini testimoni di violenza hanno gli stessi danni di quelli che vengono direttamente abusati: stati d’ansia, angoscia, depressione, rabbia, paura delle minacce, gravi sensi di colpa, perché si sentono responsabili dei litigi tra genitori. E se è importante far emergere il malessere devastante,che molti bambini e adolescenti vivono spesso in silenzio, quando rimangono spettatori impotenti di fronte a liti furibonde dei genitori o, peggio, a scene di pestaggio e violenza sessuale,da parte di uno dei due verso l’altro,è altrettanto importante andare alla radice del disagio. Certamente, si creano situazioni difficili da gestire dove,però,un intervento non vale l’altro;dove,se indovini,puoi anche impedire il disastro totale,ma se no,può essere il caos totale. Mi chiedo perché,almeno per un buon numero di famiglie,è quasi più “naturale” ricorrere a strutture di tipo giudiziario per chiedere aiuto, anche se in troppi casi il vero problema rimane irrisolto? Si riscontra, invece,una certa diffidenza nel rivolgersi a strutture che operano a livello psicologico. Perché?

Non è forse meglio trovare prima soluzioni che facciano leva sulle risorse che una famiglia può avere al suo interno e,magari,solo in un secondo momento ricorrere all’avvocato o al giudice? Cos’è che realmente manca? L’aiuto effettivo, la capacità di cercarlo o non piuttosto una cultura di maggior fiducia verso quel tipo di strutture che sono di mediazione delle relazioni bambino– genitore?

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